tag:blogger.com,1999:blog-26292894987503391052024-03-20T11:53:18.393+01:00MONS. GUIDO MARINIUnknownnoreply@blogger.comBlogger22125tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-83538147244300087482010-12-20T23:13:00.001+01:002010-12-20T23:13:40.569+01:00Il significato dell'Avvento: intervista per "Avvenire" di Mons. Guido Marini<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrfl72NxZaPX2iouDHNDQWOYyavtQZFOC50wqThu62UabG1qW4tI-WVKGrjq8rIuIZid1TzS_V94RDvEZ9beXWoKR9jze7JWQ1lXD4MOQYXjwWS8uDz8OUk_sb2O6ieHy7htgqOABcs6i5/s1600/17144_1205460291196_1069302663_517068_6075024_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrfl72NxZaPX2iouDHNDQWOYyavtQZFOC50wqThu62UabG1qW4tI-WVKGrjq8rIuIZid1TzS_V94RDvEZ9beXWoKR9jze7JWQ1lXD4MOQYXjwWS8uDz8OUk_sb2O6ieHy7htgqOABcs6i5/s320/17144_1205460291196_1069302663_517068_6075024_n.jpg" width="177" /></a><span style="color: #663300;"><b><i></i></b></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="color: #663300;"><b><i>Qual è il significato dell’Avvento ?</i></b></span><br />
L’Avvento è il tempo dell’attesa. Dell’attesa che fa riferimento a una venuta, quella del Signore Gesù, il Figlio di Dio, l’unico Salvatore del mondo. Il popolo cristiano, in questo tempo forte dell’anno liturgico, vive la propria fede rinnovando la consapevolezza gioiosa di una triplice venuta del Signore, quella di cui parlano anche i Padri della Chiesa.<br />
Una prima venuta, della quale fare grata memoria, è quella del Figlio di Dio nella storia degli uomini, al momento dell’Incarnazione. Una seconda venuta è quella che si realizza nell’oggi della vita, e che è incessante. Essa prende forma in una molteplicità di modi, a cominciare dall’Eucaristia, presenza reale del Signore in mezzo ai suoi, per continuare con i sacramenti, la parola della divina Scrittura, i fratelli, soprattutto se piccoli e bisognosi. Una terza venuta, da attendere nella speranza, è quella che si realizzerà alla fine dei tempi, quando il Signore ritornerà nella gloria e tutto sarà ricapitolato in lui.<br />
Così, nel tempo dell’Avvento il popolo cristiano è chiamato a rinnovare la consapevolezza che la sua vita è tutta contenuta nel mistero di Cristo, Colui che era, che è e che viene. Anche per questo, l’Avvento è un tempo marcatamente “mariano”. La SS. Vergine è colei che in modo unico e irripetibile ha vissuto l’attesa del Figlio di Dio, è colei che in modo singolare è tutta contenuta nel mistero di Cristo.<br />
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<span style="color: #663300;"><b><i>In che modo i singoli fedeli e le comunità cristiane possono aiutarsi a vivere meglio questo momento forte del tempo liturgico della Chiesa?</i></b></span><br />
Entrando in questo tempo con l’atteggiamento interiore di chi si prepara a vivere un periodo di conversione e di rinnovamento, orientando con decisione la propria vita al Signore Gesù.<br />
La Chiesa, con l’anno liturgico, ci offre periodicamente la grazia di vivere momenti spiritualmente forti, occasioni propizie per ritrovare lo slancio del cammino verso la santità. Nell’Avvento un tale slancio ha un tono singolare, che è quello della gioia. La gioia al pensiero che il Signore si è già mostrato nel suo volto di amore misericordioso e inimmaginabile. La gioia al pensiero che il Signore è nostro contemporaneo e vicino oggi, nel presente della nostra esistenza, nella quotidianità semplice delle nostre giornate. La gioia al pensiero che il futuro non è avvolto nell’oscurità, ma risplende della luce del Cielo di Dio in Cristo.<br />
Tutto questo diventa esperienza di vita anche in virtù di un cammino personale e comunitario di conversione, fatto di una più intensa e prolungata preghiera, di una qualche forma penitenziale e di distacco dalla mentalità del secolo presente, di una carità più generosa e autenticamente cristiana.<br />
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<span style="color: #663300;"><b><i>Quali sono le caratteristiche delle celebrazioni in questo periodo?</i></b></span><br />
La liturgia, per il tramite dei riti e delle preghiere, conduce alla partecipazione attiva del mistero celebrato. Pertanto, nella celebrazioni del tempo di Avvento, deve trasmettere il senso dell’attesa tipico dell’Avvento. Lo deve fare con le sue preghiere, con il suo canto, con il suo silenzio, con i suoi colori e con le sue luci. In tutto deve farsi presente il mistero del Signore che viene, lui che è il Principio e la Fine della storia; in tutto deve rendersi in qualche modo toccabile la gioia vera e sobria della fede; in tutto deve trasparire l’impegno per il cambiamento del cuore e della mente per un’appartenenza più radicale a Dio.<br />
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<span style="color: #663300;"><b><i>E quali le particolarità delle liturgie pontificie?</i></b></span><br />
Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità. Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero liturgico a cui tutti devono rivolgersi.<br />
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<b><span style="color: #663300;"><i>Quest'anno in particolare la liturgia dei primi Vespri di Avvento è inserita in una "Veglia per la vita nascente". Qual è il significato di questo particolare "abbinamento"?</i></span></b><br />
Si tratta di un abbinamento che si sta rivelando felice. L’iniziativa di una “Veglia per la vita nascente”, promossa dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, viene in tal modo a inserirsi nella celebrazione di inizio dell’Avvento, un tempo quanto mai indicato per il richiamo al tema della vita. L’Avvento è il tempo dell’attesa di Maria, che portava nel grembo il Verbo di Dio fatto carne. L’Avvento è l’attesa della Vita vera, quella che si è manifestata nel Figlio di Dio fatto uomo, pienezza e compimento del disegno di Dio sull’umanità. In quella Vita, apparsa a Betlemme, ha trovato significato nuovo e definitivo la dignità di ogni vita umana. Così, davvero, pregare per la vita nascente, nel contesto della celebrazione dei Primi Vespri per l’inizio dell’anno liturgico, risulta significativo e provvidenziale.<br />
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<b>Gianni Cardinale</b>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-67265372001869687142010-11-26T13:18:00.000+01:002010-11-26T13:18:16.185+01:00PRIMI VESPRI PER L’INIZIO DEL TEMPO DI AVVENTO VEGLIA PER LA VITA NASCENTE<div style="text-align: center;"><img alt="Pope Benedict XVI arrives to celebrate the First Vespers on the occasion of the first week of Advent in Saint Peter's Basilica at the Vatican November 28, 2009." height="175" src="http://cache.daylife.com/imageserve/079h3zl00W09m/610x.jpg" width="400" /></div><div style="text-align: center;"><br />
</div>La consuetudine, iniziata con Benedetto XVI, di celebrare i Primi Vespri nella Prima Domenica di Avvento nella Basilica di San Pietro intende sottolineare l’inizio di un nuovo Anno Liturgico per la vita della Chiesa. Con il tempo di Avvento, infatti, inizia un nuovo ciclo annuale, nel quale la Chiesa celebra tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione alla Pentecoste e all’attesa del ritorno del Signore.<br />
L’addobbo floreale, pur presente, è improntato a una certa sobrietà, in modo che venga significata la specificità liturgica e spirituale dell’Avvento, come tempo di attesa del Signore che viene, nel segno della gioia ma anche della penitenza e della vigilanza. Si consideri, in questo senso, il ritornello cantato alle intercessioni: “Veni, Domine, et noli tardare”. Il compimento dell’attesa e la pienezza della gioia si manifesteranno nella Santa Notte di Natale al canto del “Gloria”. In questo stesso senso deve essere compreso il colore viola delle vesti liturgiche che accompagnerà per intero il tempo di Avvento, proprio a cominciare da questa celebrazione vespertina.<br />
Quest’anno, alla celebrazione dei Primi Vespri si accompagna la Veglia di Preghiera per la Vita nascente, promossa dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e celebrata oggi in tutta la Chiesa Cattolica. Per tale circostanza, prima della celebrazione dei Vespri, è previsto un tempo di riflessione e di preghiera: si alterneranno la lettura di alcuni testi del magistero sul tema della vita, alcuni canti tipici dell’Avvento, momenti di silenzio e preghiere.<br />
Inoltre, la celebrazione dei Vespri sarà preceduta dall’esposizione del SS. Sacramento a cui farà seguito, al termine della celebrazione, l’adorazione e la benedizione eucaristica. Durante il tempo dell’adorazione il Santo Padre reciterà una preghiera per la vita, composta per la particolare occasione. <br />
Durante i Vespri, le brevi pause di silenzio al termine dei salmi e della lettura breve intendono aiutare la preghiera personale e quel clima di raccoglimento che sempre deve caratterizzare l’atto liturgico e che rende capace il cuore di aprirsi all’ascolto più attento della Parola di Dio e alla migliore comprensione dei misteri del Signore.<br />
Si ricordi, in proposito, ciò che afferma sant’Agostino a proposito del canto dei salmi: “Si ode la voce di Cristo e della Chiesa, di Cristo nella Chiesa, e della Chiesa in Cristo”.<br />
Il tempo di Avvento è un tempo mariano: l’attesa del Signore che viene è accompagnato da Maria, la cui attesa del Signore è per tutti esemplare. Anche per questo all’altare della confessione viene collocata l’immagine della Madonna e la celebrazione dei Vespri si conclude con il canto di un’antifona mariana, davanti a un dipinto che la raffigura la SS. Madre di Dio, collocato sulla colonna a sinistra dell’altare della Confessione.<br />
<div align="left"><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-65084433329956145622010-11-26T13:12:00.002+01:002010-11-26T13:14:51.666+01:00L'USO DELLE TROMBE D'ARGENTO<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgULSDSgRMhE-uePWTKC8rCIlddunwcnet4yC0ALdT-k1iRj12LbahsbADXTsSFM_QiYa5Ddqw_EV1e-mAQw-z0urcjG161C99J5E6858B5pFkQjKehxTFpyvXP8XmMrWzQs1nCagn0Hdtx/s1600/mar+pal.bmp" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="99" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgULSDSgRMhE-uePWTKC8rCIlddunwcnet4yC0ALdT-k1iRj12LbahsbADXTsSFM_QiYa5Ddqw_EV1e-mAQw-z0urcjG161C99J5E6858B5pFkQjKehxTFpyvXP8XmMrWzQs1nCagn0Hdtx/s200/mar+pal.bmp" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i><span class="Apple-style-span" style="font-size: x-small;">Mons. Guido Marini e don Massimo Palombella S.D.B.</span></i></td></tr>
</tbody></table>Il complesso musicale detto “Trombe d’argento” accompagnava le Celebrazioni Pontificie nella Basilica Vaticana suonando dal primo loggiato del tamburo della cupola o dalla loggia interna dell’Aula delle Benedizioni. Esso suonava la “Marcia Solenne” all’ingresso e all’uscita del Sommo Pontefice (dalla Loggia interna dell’Aula delle Benedizioni) e il “Largo Religioso” al momento dell’Elevazione (dal primo loggiato del tamburo della cupola).<br />
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Le due composizioni – che risalgono al 1846 – sono opera di due Guardie Nobili: il Conte Domenico Silveri e il Marchese Giovanni Longhi. Esse ebbero larghissima fama, tanto che qualche inglese finì con il confondere il nome di Silveri con la voce “silver” che significa argento.<br />
Tuttavia il nome “Trombe d’argento” derivava non tanto dalla materia di cui erano composti gli strumenti quanto dal loro suono puro, dolce e squillante che si fruiva nella Basilica di San Pietro.<br />
L’uso delle “Trombe d’argento” è rimasto anche dopo la Riforma Liturgica avviata dal Concilio Vaticano II, ma solo per alcune particolari Celebrazioni.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div>Oggi, nel processo di sviluppo armonico della Liturgia papale, in piena sintonia con la Riforma Liturgica e nel radicamento della più significativa tradizione romana, le “Trombe d’argento” vengono nuovamente usate nelle Celebrazioni più solenni del Sommo Pontefice al momento dell’ingresso nella Basilica di San Pietro. Al suono delle “Trombe d’argento” seguirà il canto del “Tu es Petrus” da parte della Cappella Musicale Pontificia detta “Cappella Sistina”.Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-58918526194135020972010-11-16T22:59:00.000+01:002010-11-16T22:59:28.309+01:00ENTRARE NEL MISTERO CELEBRATO MEDIANTE RITI E PREGHIERE<div align="right"><b><span style="color: #663300;"><i>Convegno Diocesano: “La liturgia: tra competenza e carisma”</i></span></b></div><div align="right"><b><span style="color: #663300;"><i>Soriano Calabro, 7 settembre 2010</i></span></b></div><br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeMf7xfHKF5JvIGElo8ssvyLZPdj07QOqWCnAmflCn33J4GhwI2O0LfHtqkOlj_Xj2MtjHkDW8oylG3oubuZQrGXSP0LcXLPqUdn4UVWbqKFih83AWnefevaWRgihD1n5pQOZmU2A8Bldd/s1600/pandpvespers2010012.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="181" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeMf7xfHKF5JvIGElo8ssvyLZPdj07QOqWCnAmflCn33J4GhwI2O0LfHtqkOlj_Xj2MtjHkDW8oylG3oubuZQrGXSP0LcXLPqUdn4UVWbqKFih83AWnefevaWRgihD1n5pQOZmU2A8Bldd/s200/pandpvespers2010012.jpg" width="200" /></a><b>Le ragioni di un titolo</b><br />
“Entrare nel mistero celebrato mediante riti e preghiere”. Mi pare proprio che non possa esservi titolo più indicato per esprimere uno degli elementi che maggiormente qualifica la liturgia e che, insieme, riprende un orientamento di fondo della Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II, “<a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a>” (cf. n. 48).<br />
In effetti proprio di questo si parla quando si parla di liturgia: il complesso dei riti e delle preghiere mediante i quali ci è dato di accedere al mistero di Cristo, donato a noi per il tramite della Chiesa.<br />
Vale la pena, pertanto, soffermarsi con calma su ciascuna delle espressioni contenute nel titolo della conferenza affidatami, durante la quale mi rifarò sovente al pensiero del teologo Ratzinger e al magistero di <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>, soprattutto per il piacevole dovere, che sento urgente, di farmi interprete ed eco fedele del suo autorevole indirizzo liturgico. Indirizzo liturgico, quello di <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>, che non appartiene all’ambito del “gusto personale”, che sarebbe pur rispettabile ma per ciò stesso non necessariamente condivisibile, bensì a un vero e proprio magistero da condividere con spirito di fede e genuino senso ecclesiale.<br />
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<b>1. “Mistero celebrato”</b><br />
<i>La presenza attuale della nostra salvezza</i><br />
Sappiamo bene che nella liturgia si rende presente in modo sacramentale il mistero della nostra salvezza. Colui che è risorto da morte, il Vivente, rinnova il sacrificio redentore per la potenza dello Spirito Santo. “Chi dunque salva il mondo e l’uomo? - ha affermato di recente <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> -. L’unica risposta che possiamo dare è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si attualizza il Mistero della morte e risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? Nell’azione di Cristo mediante la Chiesa, in particolare nel sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale redentrice del Figlio di Dio…” (<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100505_it.html"><i>Udienza generale</i>, 5 maggio 2010</a>).<br />
Non si tratta, dunque, di ricordare qualcosa che il tempo ha relegato in un passato ormai per sempre confinato alle nostre spalle. Neppure si tratta di un insieme di riti, pur esteticamente belli, ma privi di vita e incapaci di comunicare salvezza. E nemmeno si tratta di un ritrovarsi insieme tra convenuti che condividono un ideale e che intendono crescere nella dimensione comunitaria. Si tratta piuttosto di una celebrazione in virtù della quale noi realmente entriamo in relazione con il mistero della nostra salvezza, con Cristo Signore, il Salvatore, che ci comunica la Sua stessa vita, la Sua grazia. Così il passato si rende attuale, il bello è una manifestazione reale della bellezza del Dio vivo, nuovi rapporti fraterni sono il frutto dell’opera del Signore nel cuore dell’uomo.<br />
A mio avviso si rende urgente, ad ogni generazione cristiana, rinnovare la percezione di fede di una tale realtà, di una celebrazione che davvero è il tramite dell’incontro con il Signore, presente nell’oggi della vita e della storia. Mi colpisce sempre molto quanto le guide più avvedute dicono ai visitatori della <a href="http://www.vatican.va/various/basiliche/san_pietro/index_it.htm">basilica di San Pietro in Roma</a>, quando si soffermano a contemplare il capolavoro di Michelangelo, “La Pietà”. Come si sa l’opera del grande artista è collocata dove attualmente ci si prepara per la celebrazione eucaristica ogni qualvolta è presente il Santo Padre. Ebbene, le guide fanno notare che le mani della Madonna sono aperte quasi a voler consegnare il corpo sacrificato di Gesù a coloro che osservano la scena. La Pietà era stata realizzata da Michelangelo come pala da altare e, dunque, destinata a fare da sfondo all’altare della celebrazione eucaristica. In tal modo il celebrante e l’intera assemblea potevano contemplare il gesto della SS. Vergine, nell’atto di donare il Salvatore alla sua Chiesa durante la celebrazione. Come è bello il richiamo di questo dettaglio artistico! Nella celebrazione della Messa proprio il Signore risorto da morte, nella sua parola, nel suo corpo e nel suo sangue si dona a noi perché possiamo entrare nel mistero della sua vita e, dunque, essere salvati.<br />
Mi sia consentito, in proposito, di richiamare un altro dettaglio artistico della splendida basilica di San Pietro. E’ noto che il baldacchino sovrastante il grande altare della confessione è opera del Bernini. Se si osserva con attenzione il drappeggio che ricopre la parte alta del baldacchino si può notare che il disegno non risulta statico bensì capace di dare una chiara impressione di dinamicità. In altre parole sembra che quel drappeggio sia mosso da un soffio di vento, tanto delicato quanto deciso.<br />
In tal modo l’artista ha inteso sottolineare quanto avviene al momento della preghiera eucaristica e, in specie, della consacrazione: lo Spirito Santo davvero scende sull’altare della celebrazione ed è l’artefice, insieme alle parole e all’azione di Cristo, della trasformazione sostanziale – ovvero la transustanziazione - del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore (cf. <i><a href="http://www.vatican.va/archive/ccc_it/ccc-it_index_it.html">Catechismo della Chiesa cattolica</a>, </i>n. 1353). Lo Spirito datore di vita rende realmente presente il Signore Risorto nell’atto del suo sacrificio redentore. Ecco, espressa nell’arte, la realtà del mistero celebrato. Ora, qui, il Salvatore è presente e operante nel suo mistero di amore e di grazia. Diceva <a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm">Giovanni Paolo II</a>: “Poiché la liturgia è l’esercizio del sacerdozio di Cristo, è necessario mantenere costantemente viva l’affermazione del discepolo davanti alla presenza misteriosa di Cristo: «E’ il Signore!» (<i>Gv</i> 21, 7). Niente di tutto ciò che facciamo noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che invisibilmente, ma realmente fa il Cristo per l’opera del suo Spirito” (Lettera Apostolica <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_04121988_vicesimus-quintus-annus_it.html">Vicesimus Quintus Annus</a></i>, 10). Questa verità dell’atto liturgico deve essere sempre al centro della consapevolezza di fede di quanti partecipano alla celebrazione liturgica.<br />
<i>Il mistero sacro</i><br />
Mi soffermo ancora un istante sulla parola “mistero”. E’ chiaro che con questo termine non si vuole intendere qualche cosa di oscuro, esoterico e inquietante. Si vuole piuttosto individuare l’opera salvifica di Dio, la cui luce è talmente abbagliante da risultare non del tutto comprensibile all’uomo: la ragione umana deve, a un certo punto del cammino, lasciare spazio alla fede per accedere al Vero. E’ proprio tale opera salvifica, come si diceva, che viene celebrata nella liturgia. Non, dunque, l’opera dell’uomo ha il primato nella celebrazione ma l’opera di Dio, l’evento pasquale di morte e risurrezione. Non si vuole certo misconoscere l’importanza dell’agire dell’uomo in liturgia; si vuole solo mettere nella giusta luce il rapporto di necessaria dipendenza dell’agire umano rispetto all’agire del Signore.<br />
Così si è espresso, al riguardo, <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> rivolgendosi <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20100415_ad-limina-brasile_it.html">ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile in visita “ad limina apostolorum”</a>: «Ora l'atteggiamento principale e fondamentale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere... È ovvio che, in questo caso, ricevere non significa restare passivi o disinteressarsi di quello che lì avviene, ma cooperare - poiché di nuovo capaci di farlo per la grazia di Dio - secondo "la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo, in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati” (<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, n. 2). Se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice» (15 aprile 2010).<br />
E’ per questo che al termine “mistero” è necessario abbinare il termine “sacro”. Affermare la sacralità della liturgia significa ricordare la necessità di custodire con cura il mistero che in essa è celebrato. Sacralità liturgica è l’oggettività di quel mistero che, nella sua ripetitività, non smette di interessare l’uomo: in quanto gli dona ciò di cui realmente ha bisogno e lo salva, consentendogli di entrare nella vera gioia.<br />
In questo senso l’accoglienza del mistero in vista della trasformazione e della conversione è il principale atto cui siamo chiamati nella celebrazione della liturgia. Questa, se così vogliamo chiamarla, è la più vera creatività che deve caratterizzare la vita del singolo e della comunità celebrante. Altre creatività, quando non previste dal rito e, lo si può ben dire, a volte selvagge, distolgono dalla verità della celebrazione e rischiano di essere solo l’espressione di un’auto celebrazione, personale o comunitaria, che perde di vista il soggetto primo della liturgia, che è Dio.<br />
Nell’indirizzo alla Conferenza Episcopale Cilena, il 13 luglio del 1988, il cardinale Ratzinger si esprimeva così, al riguardo: “…dobbiamo riacquistare la dimensione del sacro nella liturgia. La liturgia non è una festa; non è una riunione con scopo di passare dei momenti sereni. Non importa assolutamente che il parroco si scervelli per farsi venire in mente chissà quali idee o novità ricche di immaginazione. La liturgia è ciò che fa sì che Dio Tre volte Santo sia presente fra noi; è il roveto ardente; è l’alleanza di Dio con l’uomo in Gesù Cristo, che è morto e di nuovo è tornato alla vita. La grandezza della liturgia non sta nel fatto che essa offre un intrattenimento interessante, ma nel rendere tangibile il <i>Totalmente Altro</i>, che noi da soli non siamo capaci di evocare. Viene perché vuole. In altre parole. L’essenziale nella liturgia è il Mistero, che è realizzato nella ritualità comune della Chiesa; tutto il resto lo sminuisce. Alcuni cercano di sperimentarlo secondo una moda vivace, e si trovano ingannati: quando il Mistero è trasformato nella distrazione, quando l’attore principale nella liturgia non è il Dio vivente ma il prete o l’animatore liturgico”.<br />
In questo contesto non è da sottovalutare la questione inerente le rubriche liturgiche e, più in generale, la normativa che interessa la liturgia. La norma liturgica, infatti, è la custode più prossima del mistero celebrato. Quanto la norma afferma garantisce l’unità rituale e, di conseguenza, è capace di dare espressione alla cattolicità della liturgia della Chiesa. Al contempo, la norma veicola un contenuto liturgico e di fede che una secolare tradizione e una comprovata esperienza ci hanno consegnato e che non è lecito trattare con superficialità e inquinare con la nostra povera e limitata soggettività. Sta qui il fondamento di quell’osservanza che a più riprese viene riproposta nel magistero pontificio, presente e passato. “Dato che le azioni liturgiche non sono azioni private, ma «celebrazioni della Chiesa quale sacramento di unità» (<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, 26) - affermava<a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm">Giovanni Paolo II</a> -, la loro disciplina dipende unicamente dall’autorità gerarchica della Chiesa (cfr.<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, 22 e 26). La liturgia appartiene all’intero corpo della Chiesa (cfr.<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, 26). E’ per questo che non è permesso ad alcuno, neppure al sacerdote, né ad un gruppo qualsiasi di aggiungervi, togliervi o cambiare alcunché di proprio arbitrio (cfr. <i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, 22)” (Lettera Apostolica <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_04121988_vicesimus-quintus-annus_it.html">Vicesimus Quintus Annus</a></i>, 25).<br />
“La Santa Messa, celebrata nel rispetto delle norme liturgiche e con un’adeguata valorizzazione della ricchezza dei segni e dei gesti, - ha affermato <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>, parlando all’<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/june/documents/hf_ben-xvi_spe_20100615_conv-diocesi-roma_it.html">apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma</a>, il 15 giugno di quest’anno - favorisce e promuove la crescita della fede eucaristica. Nella celebrazione eucaristica noi non inventiamo qualcosa, ma entriamo in una realtà che ci precede, anzi che abbraccia cielo e terra e quindi anche passato, futuro e presente. Questa apertura universale, questo incontro con tutti i figli e le figlie di Dio è la grandezza dell’Eucaristia: andiamo incontro alla realtà di Dio presente nel corpo e sangue del Risorto tra di noi. Quindi, le prescrizioni liturgiche dettate dalla Chiesa non sono cose esteriori, ma esprimono concretamente questa realtà della rivelazione del corpo e sangue di Cristo e così la preghiera rivela la fede secondo l’antico principio <i>lex orandi</i> - <i>lex credendi</i>. E per questo possiamo dire che “la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata” (<i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis_it.html#La_celebrazione_interiormente_partecipata">Sacramentum caritatis</a></i>, 64)”.<br />
Si rende, pertanto, necessario un atteggiamento equilibrato, capace di conservare come complementari e necessarie la prospettiva simbolico-rituale e quella canonico-disciplinare. Non l’una senza l’altra, ma l’una con l’altra.<br />
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<b>2. “Entrare”</b><br />
<i>Il significato di un verbo</i><br />
Il verbo scelto come parte del titolo è un verbo importante. Anche perché ci conduce al grande tema della partecipazione alla celebrazione liturgica: tema che appassiona e ispira, a volte porta a discutere e, a mio parere, anche a inutili polemiche e divisioni. Chi di noi, infatti, non desidera che la liturgia possa essere realmente partecipata da tutti? Soprattutto da quando la <i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i> e, sulla scia di essa, la riforma avviata dal Vaticano II e il successivo magistero pontificio hanno giustamente insistito per la più ampia e autentica realizzazione di tale partecipazione? D’altra parte, se ci sta a cuore la vita della Chiesa e l’incontro di ogni uomo con Cristo Salvatore, possiamo forse non desiderare che tutti partecipino alla sacra liturgia con il maggior frutto possibile?<br />
Su questo, pertanto, direi che sia difficile avere pareri diversi. La disparità di vedute può avere inizio quando si tratta di meglio specificare che cosa si intenda per partecipazione, ovvero quali siano le modalità più adeguate per entrare nel mistero celebrato. E si sa come, al riguardo, si continuino spesso a fronteggiare due diversi modi di considerare il termine in questione. Come sempre nella dottrina cattolica, anche in questo caso, non c’è spazio per l’“aut aut”, ovvero per l’esclusione di un aspetto a favore di un altro, ma per l’“et et”, ovvero per la presenza complementare e arricchente dei diversi aspetti.<br />
Entrare in una realtà, partecipare a un avvenimento è sempre un’esperienza che coinvolge l’uomo in ogni sua dimensione: intelligenza, volontà, emozione, sentimento, azione… L’esteriorità dell’agire e il suo fondamento interiore risultano complementari e necessari. Così è per la vita liturgica. Proprio perché è esperienza vitale non può che riguardare l’intera complessità della persona umana. Se, dunque, ad esempio, vi è una partecipazione che avviene per via di comprensione di un testo, vi è anche una partecipazione che avviene per via di un innalzamento dell’animo prodotto dall’incontro col bello. E se si partecipa mediante l’azione, è possibile realizzare una vera partecipazione anche mediante un silenzio solo in apparenza inoperante.<br />
Nel mistero celebrato, di conseguenza, si entra con tutta la complessità del nostro essere persone umane. Ed è per questo che la liturgia ricerca sempre quel sano equilibrio di componenti che diano la possibilità di un’esperienza che si addica a tutto l’uomo e ad ogni uomo.<br />
Non mi pare che, sempre, nella pratica liturgica questo trovi felice ed equilibrata realizzazione. E mi pare altresì che, per la legge del pendolo, se un tempo la mancanza di partecipazione adeguata poteva essere addebitata a un difetto di comprensione e di azione, oggi tale mancanza possa essere addebitata a un eccesso di comprensione razionale e di azione esteriore, cui non sempre fanno sufficiente complemento la comprensione del cuore e l’attenzione all’agire interiore, al rivivere in sé i sentimenti e i pensieri di Cristo.<br />
<i>Entrare nell’agire di Cristo</i><br />
Approfondiamo ancora un po’ la questione, a partire dall’indirizzo chiaro formulato dalla Costituzione sulla sacra liturgia del Vaticano II: “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti” (n. 48).<br />
A commento di questo brano magisteriale rimane sempre illuminante quanto affermato dal cardinale Ratzinger nel suo volume “<i>Introduzione allo spirito della Liturgia</i>”: “In che cosa consiste… questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più presto possibile. La parola partecipazione rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa ‘actio’ centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità… Con il termine <i>actio</i> riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la <i>oratio</i>… Questa <i>oratio</i> - la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è <i>actio</i> nel senso più alto del termine. In essa accade, infatti, che<i>l’actio </i>umana… passa in secondo piano e lascia spazio all’<i>actio</i> divina, all’agire di Dio” (pp. 167-168).<br />
Nella celebrazione liturgica ciò che precede e costituisce il fondamento è l’agire di Cristo e della sua Chiesa; infatti, come ci ricordava <a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm">Giovanni Paolo II</a>, “…la liturgia ha come primo compito quello di ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita” (Lettera Apostolica “ <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_04121988_vicesimus-quintus-annus_it.html">Vicesimus Quintus Annus</a></i>, 6). Di conseguenza, entrare nell’atto liturgico significa entrare dentro questo agire che dona salvezza e trasforma la vita. Si partecipa, dunque, nella misura in cui l’atto del Signore e della sua Chiesa diventa anche il nostro stesso atto, la sua oblazione di amore diventa la nostra, il suo abbandono filiale e obbediente al Padre diventa anche nostro, se il sacrificio del Redentore diventa il nostro stesso sacrificio.<br />
Affermava Divo Barsotti in un suo celebre testo: “E’ proprio della Liturgia cristiana di trascendere l’attività di ogni uomo e di tutta l’umanità nell’essere Atto stesso del Cristo; ma la Liturgia trascende ogni attività umana senza escluderla, anzi impegnandola tutta fino in fondo, non soltanto in quanto la supera, ma in quanto anche la esige e la comprende” (<i>Il mistero della Chiesa nella Liturgia,</i>edizioni San Paolo, p. 158)<br />
Come avviene sempre in ciò che è umano, anche nel rito liturgico l’agire ha una dimensione esteriore e una interiore. Il gesto di Cristo è un gesto visibile, espressione di un gesto invisibile. Pertanto l’atto di entrare nel mistero avrà anche la componente esteriore del gesto, non c’è dubbio. Ma perché tale componente non rimanga pura e sterile esteriorità dovrà essere animata e allo stesso tempo condurre a quell’agire interiore in cui vi è conformazione all’agire di Cristo e della sua Chiesa.<br />
Sia dia spazio, dunque, all’azione esteriore in Liturgia, laddove il rito lo consente e lo auspica. Ma senza dimenticare che tale azione dovrà essere sempre ricondotta alla sua verità di espressione dell’agire interiore. Solo così vi sarà un autentico accesso al mistero celebrato.<br />
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<b>3. “Mediante riti e preghiere”</b><br />
Ciò che è stato detto in merito all’entrare nel mistero ha avuto una fisionomia di carattere generale. Ora, attraverso la menzione dei riti e delle preghiere, il titolo ci consente di entrare in un ambito più specifico, ovvero nel modo tipico della liturgia di rendere accessibile la partecipazione al mistero celebrato.<br />
Riti e preghiere, nella liturgia, si sostengono a vicenda e a vicenda si illuminano proprio al fine di far vivere la celebrazione. Il rito rimarrebbe privo di luce senza la preghiera che lo illustra; la preghiera rimarrebbe priva di efficacia senza il rito che la mette in atto. La celebrazione liturgica, pertanto, richiede quella fede in virtù della quale non si rimane estranei alla preghiera come neppure al rito.<br />
Non per nulla la tradizione della Chiesa ha sempre tenuto in gran conto le famose catechesi mistagogiche degli antichi padri. Si tratta esattamente di catechesi che, rifacendosi alle preghiere e ai riti, introducono i fedeli alla conoscenza e all’esperienza del mistero celebrato. Di tali catechesi si sente una grande necessità per il tempo presente. Infatti, la rarefazione della cultura cristiana, come orientamento di fondo appreso dalla giovane età e largamente condiviso nel contesto sociale, porta a una forma grave di “ignoranza” rispetto ai riti e alle preghiere della liturgia. E non si può chiedere alla liturgia ciò che essa non può dare: la catechesi. Non c’è dubbio: la liturgia la si impara anche vivendola. Ma rimane pur necessaria quella catechesi che è anche avviamento all’esperienza liturgica, introduzione ai divini misteri.<br />
Quanto si sentiva come compito urgente già ai tempi del Concilio Vaticano II, mi pare che rimanga nel presente, forse con una nota di urgenza ancora maggiore: la formazione. Solo grazie a una vera formazione liturgica i riti e le preghiere della celebrazione potranno essere il tramite bello e straordinariamente ricco per entrare nel mistero celebrato. Altrimenti si rischia di rimanere sulla soglia di una realtà inaccessibile.<br />
D’altra parte, è bene non dimenticarlo, la celebrazione liturgica realizzata secondo verità e in conformità a quell’“ars celebrandi” di cui il Santo Padre <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> ci parla nell’Esortazione Apostolica <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis_it.html">Sacramentum caritatis</a></i>, ovvero in piena conformità alle indicazioni della Chiesa, è già di per sé una vera e propria scuola, capace di introdurre alla conoscenza e all’esperienza del mistero di Cristo. Pertanto, riti e preghiere celebrati bene sono autentica introduzione alla spirito della liturgia.<br />
Non è, però, mia intenzione entrare nel dettaglio dei riti e delle preghiere, quanto piuttosto soffermarmi a considerare alcuni aspetti dell’atto celebrativo che aiutano a entrare nella sacra liturgia, nei suoi riti e nelle sue preghiere. Gli aspetti considerati saranno solo alcuni, quelli che a me pare sia più importante e urgente sottolineare e spiegare nell’attuale contesto storico. Questo certamente non vuol dire sminuire l’importanza di altri. Ma tutto non si può dire e bisogna dare qualche priorità.<br />
<i>Il sacro silenzio</i><u></u><br />
Una liturgia ben celebrata, in diverse sue parti, prevede una felice alternanza di silenzio e parola, dove il silenzio anima la parola, permette alla voce di risuonare con straordinaria profondità, mantiene ogni espressione vocale nel giusto clima del raccoglimento. Si ricordi, in proposito, quanto afferma l’<a href="http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20030317_ordinamento-messale_it.html">Ordinamento Generale del Messale Romano</a>: “Si deve osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica” (<a href="http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20030317_ordinamento-messale_it.html#Il_silenzio">n. 45</a>).<br />
L’Ordinamento Generale non fa che esplicitare quanto la <i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i> formulava in termini più generali: “Si osservi a tempo debito il sacro silenzio” (30).<br />
E’ da notare che in entrambi i testi citati si parla di “silenzio sacro”. Il silenzio richiesto, pertanto, non è da considerarsi alla stregua di una pausa tra un momento celebrativo e il successivo. E’ da considerarsi piuttosto come un vero e proprio momento rituale, complementare alla parola, alla preghiera vocale, al canto, al gesto...<br />
Da questo punto di vista, ci è dato di meglio capire il motivo per cui durante la preghiera eucaristica e, in specie, il canone, il popolo di Dio riunito in preghiera segue nel silenzio la preghiera del sacerdote celebrante. Quel silenzio non significa inoperosità o mancanza di partecipazione. Quel silenzio tende a far sì che tutti entrino nel significato di quel momento rituale che ripropone nella realtà del sacramento l’atto di amore con il quale Gesù si offre al Padre sulla croce per la salvezza del mondo. Quel silenzio, davvero sacro, è lo spazio liturgico nel quale dire sì, con tutta la forza del nostro essere, all’agire di Cristo, così che diventi anche il nostro agire nella quotidianità della vita.<br />
Così il silenzio liturgico è davvero sacro perché è il luogo spirituale nel quale realizzare l’adesione di tutta la nostra vita alla vita del Signore, è lo spazio dell’“amen” prolungato del cuore che si arrende all’amore di Dio e lo abbraccia come nuovo criterio del proprio vivere. Non è forse questo il significato stupendo dell’“amen” conclusivo della dossologia al termine della preghiera eucaristica, nella quale tutti diciamo con la voce quanto a lungo abbiamo ripetuto nel silenzio del cuore orante?<br />
Se tutto questo è il senso del silenzio in liturgia, non è forse vero che e le nostre liturgie hanno bisogno di più spazio per il sacro silenzio?<br />
<i>La nobile bellezza</i><br />
Afferma <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>, nell’Esortazione apostolica post sinodale sull’Eucaristia <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis_it.html">Sacramentum caritatis</a></i>: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è <i>veritatis splendor</i>… Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina, ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore… La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra… La bellezza pertanto non è un fatto decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la propria natura” (n. 35).<br />
Le parole del Papa non potrebbero essere più chiare. Ne consegue che non è ammissibile alcuna forma di grettezza, di minimalismo e di male inteso pauperismo nella celebrazione liturgica. Il bello, nelle diverse forme antiche e moderne in cui trova espressione, è la modalità propria in virtù della quale risplende nelle nostre liturgie, pur sempre pallidamente, il mistero della bellezza dell’amore di Dio. Ecco perché non si farà mai abbastanza per rendere belli i nostri riti. Ce lo insegna la Chiesa, che nella sua lunga storia non ha mai avuto timore di “sprecare” per circondare la celebrazione liturgica con le espressioni più alte dell’arte: dall’architettura, alla scultura, alla musica, agli oggetti sacri. Ce lo insegnano i santi che, pur nella loro personale povertà, hanno sempre desiderato che al culto fosse destinato il meglio.<br />
Ascoltiamo ancora <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>: “Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!” (<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080912_parigi-vespri_it.html"><i>Omelia alla celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi</i>, 12 settembre 2008</a>).<br />
<i>Il crocifisso al centro dell’altare</i><br />
Nel suo testo “Le festa della fede”, la cui prima edizione risale al 1981, il cardinale Ratzinger si poneva il problema dell’orientamento nella celebrazione liturgica. Riportare alcuni brani del suo testo, mi pare il modo più immediato per capire l’importanza della sua riflessione e della sua proposta.<br />
“Il vero spazio e la vera cornice della celebrazione eucaristica è tutto il cosmo. Questa dimensione cosmica dell’Eucaristia si faceva presente nell’azione liturgica mediante l’inorientamento [ndr. il corretto orientamento verso…]. L’Oriente – oriens – era anche notoriamente, dal segno del sole nascente, il simbolo della risurrezione (e pertanto non solo espressione cristologia, ma indice pure della potenza del Padre e dell’opera dello Spirito Santo), nonché richiamo alla speranza nella parusìa […] La croce dell’altare si può qualificare come un residuo dell’inorientamento rimasto fino ai giorni nostri. In essa fu conservata la vecchia tradizione, che era a suo tempo strettamente collegata al simbolo cosmico dell’Oriente, di pregare nel segno della croce il Signore veniente, volgendovi lo sguardo […] Anche nell’attuale orientamento della celebrazione, la croce potrebbe essere collocata sull’altare in tal modo che i sacerdoti e i fedeli la guardino insieme. Nel canone essi non dovrebbero guardarsi, ma guardare insieme a lui, il trafitto […] La croce sull’altare non è…un impedimento alla visuale, ma un punto comune di riferimento…Ardirei addirittura la tesi che la croce sull’altare non è impedimento ma presupposto della celebrazione «versus populum». Diverrebbe così ricca di significato la distinzione tra liturgia della parola e canone. Nella prima si tratta dell’annunzio, e pertanto di un indirizzo immediato, nell’altra di un’adorazione comune, nella quale noi tutti stiamo più che mai durante la invocazione - «conversi ad Dominum» -: Rivolgiamoci al Signore; convertiamoci al Signore” (pp. 131-135).<br />
Alla luce di queste limpide affermazioni si comprende meglio quanto sottolineato dal Santo Padre<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> nella prefazione al I volume della Sua Opera Omnia, dedicato alla liturgia e da poco uscito in Italia: “L’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano l’uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non è possibile, verso un’immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della Passione (<i>Gv</i> 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione della mia opera [<i>Introduzione allo spirito della liturgia</i>, pp.70-80]: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo”.<br />
<i>L’adorazione</i><br />
Che cosa intendiamo per adorazione? Certamente non si tratta di una relazione intellettuale o sentimentale con il mistero. La si potrebbe definire come il riconoscimento pieno di meraviglia della onnipotenza di Dio, della sua maestà intangibile, della sua signoria provvidente e misericordiosa, della sua bellezza infinita che è coincidenza di Verità e di Amore... E l’adorazione, quando è autentica, conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo... Tutto questo è quanto la Chiesa, sposa di Cristo, vive nella celebrazione della liturgia. Adora e aderisce, adora per aderire.<br />
Ascoltiamo ancora Divo Barsotti nell’opera già citata: “E l’Avvenimento, l’Atto del Cristo, è prima di tutto Sacrificio, Sacrificio di adorazione. Il Verbo, nella natura umana che Egli ha assunto, riconosce con la sua Morte l’infinita santità di Dio e la sua sovranità. In Lui la creazione finalmente adora […] Una partecipazione nostra al Sacrificio di Gesù importa che noi si viva lo stesso annientamento suo…La condizione terrestre della nostra vita, nella sua accettazione volontaria, diviene il segno di una nostra partecipazione al Sacrificio di Gesù, alla sua adorazione” (<i>Idem,</i> pp. 174-175).<br />
Ecco perché tutto, nell’azione liturgica, deve condurre all’adorazione: la musica, il canto, il silenzio, il modo di proclamare la parola di Dio e il modo di pregare, la gestualità, le vesti liturgiche e le suppellettili sacre, così come anche l’edificio sacro nel suo complesso. Mi soffermo un istante su un gesto tipico e centrale dell’adorazione che oggi rischia di sparire, quale il mettersi in ginocchio, rifacendomi a un testo del cardinale Ratzinger: “Noi sappiamo che il Signore ha pregato stando in ginocchio (Lc 22, 41), che Stefano (<i>At</i> 7, 60), Pietro (<i>At</i> 9, 40) e Paolo (<i>At</i> 20, 36) hanno pregato in ginocchio. L’inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2, 6-11) presenta la liturgia del cosmo come un inginocchiarsi di fronte al nome di Gesù (2, 10) e vede in ciò adempiuta la profezia isaiana (<i>Is</i> 45, 23) sulla signoria sul mondo del Dio d’Israele. Piegando il ginocchio nel nome di Gesù, la Chiesa compie la verità; essa si inserisce nel gesto del cosmo che rende omaggio al vincitore e così si pone dalla parte del vincitore poiché un tale inginocchiarsi è una rappresentazione e assunzione imitativa dell’atteggiamento di Colui che «era uguale a Dio» ed «ha umiliato se stesso fino alla morte»” (Rivista <i>Communio</i>, 35/1977).<br />
E’ anche per questo che è da ritenersi del tutto appropriata la pratica di inginocchiarsi per ricevere la santa Comunione. A ulteriore conferma ascoltiamo il Santo Padre in un passaggio di<i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis_it.html">Sacramentum caritatis</a></i>: “Già Agostino aveva detto: «Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo». Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (n. 66).<br />
Si può parlare al riguardo di una contraddizione rispetto all’incedere processionalmente, quale segno di un popolo che di dirige verso il suo Signore? La Chiesa che, nel segno esteriore, si dirige in processione verso il Signore è la stessa Chiesa che, sempre nel segno esteriore, alla sua presenza, si inginocchia e adora. Ancora una volta si tratta di complementarietà in vista di una ricchezza più grande e non di esclusione.<br />
Anche alla luce di questo brano si capisce il motivo per cui il Santo Padre <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a>, in occasione della solennità del <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080522_corpus-domini_it.html">Corpus Domini del 2008</a>, ha iniziato a distribuire la santa Comunione ai fedeli in ginocchio.<br />
<i>Il canto e la musica</i><br />
Mi piace al riguardo partire da una citazione del papa san Gregorio Magno, nella quale si ritrova formulato con singolare profondità ed efficacia il nucleo centrale della musica e del canto in liturgia: “Quando il canto della salmodia risuona dalle profondità del cuore, il Signore onnipotente trova per esso una via di accesso ai cuori, per inondare colui che protende tutti i suoi sensi ad ascoltarLo dei misteri della profezia o della grazia della contrizione. Sta scritto infatti: ‘Un canto di lode mi onora, ed esso è la via per la quale mostrerò la salvezza di Dio’ (<i>Sal</i> 49, 23). Ciò che in latino suona<i>salutare</i>, salvezza, in ebraico si dice Gesù. Nel canto di lode perciò viene creata una via di accesso, per la quale Gesù può rivelarsi, poiché quando mediante il canto dei Salmi viene riversata in noi la vera contrizione, si apre in noi una strada che conduce nel profondo del cuore, alla fine della quale si giunge a Gesù…” (In <i>Ez</i> I hom. I, 15).<br />
Così il canto e la musica in liturgia, quando sono nella verità del loro essere, nascono dal cuore che ricerca il mistero di Dio e diventano un’esegesi dello stesso mistero, parola che nella nota musicale si apre sull’orizzonte della salvezza, di Cristo. Pertanto c’è un legame intrinseco tra la parola, la musica e il canto nella celebrazione liturgica. Musica e canto, infatti, non possono essere slegati dalla parola, quella di Dio, della quale invece devono essere interpretazione fedele e disvelamento. Il canto e la musica in liturgia partono dalle profondità del cuore, e dunque da Cristo che lo abita, e riportano al cuore, vale a dire a Cristo che della domanda del cuore è risposta vera e definitiva. Questa è l’oggettività del canto e della musica liturgica, che non dovrebbe mai essere consegnata all’estemporaneità superficiale di sentimenti e di emozioni passeggere non rispondenti alla grandezza del mistero celebrato.<br />
E’ giusto, quindi affermare che il canto e la musica in liturgia nascono dalla preghiera e portano alla preghiera. Dunque, permettono a noi di entrare nel mistero, per tornare alla terminologia che è parte del titolo di questa conferenza. E qui, nel canto e nella musica, troviamo forse una delle vie più alte di ingresso e di partecipazione al mistero, capace di fare sintesi di tante altre componenti della partecipazione liturgica.<br />
Mi sia consentito qui, parlando del canto e della musica, di fare brevemente cenno alla lingua latina. E’ risaputo quale straordinario tesoro di canto e musica per la liturgia ci hanno consegnato i secoli passati. E qualcosa di quel tesoro la Chiesa lo ha definito perennemente valido, in sé e quale criterio per stabilire ciò che può essere davvero liturgico nelle nuove forme musicali che si vanno sviluppando nel tempo. Mi riferisco al gregoriano e alla polifonia sacra classica, forme di canto liturgico che consentono di valutare, oggi come ieri, ciò che attiene alla liturgia e ciò che, pur di valore artistico e di contenuto religioso, non può avere spazio nella celebrazione liturgica. Il valore perenne del gregoriano e della polifonia classica consiste nella loro capacità di farsi esegesi della parola di Dio e, dunque, del mistero celebrato, di essere al servizio della liturgia senza fare della liturgia uno spazio al servizio della musica e del canto. Potremo noi rinunciare a mantenere in vita tali tesori che secoli di storia della Chiesa ci hanno consegnato? Potremo noi fare a meno di attingere ancora oggi a quel patrimonio di spiritualità straordinario? Come sarà mai possibile dare corpo a un più ampio e degno repertorio di canto e di musica per la liturgia se non ci saremo lasciarti educare da ciò che lo deve ispirare?<br />
Ecco perché dobbiamo conservare nei modi dovuti il latino. Senza dimenticare anche altre componenti di questa lingua liturgica, quale la sua capacità di dare espressione a quella universalità e cattolicità della Chiesa, a cui davvero non è lecito rinunciare. Come non provare, al riguardo, una straordinaria esperienza di cattolicità quando nella basilica di San Pietro uomini e donne di tutti i continenti, di nazionalità e lingue diverse pregano e cantano insieme nella stessa lingua? Chi non percepisce la calda accoglienza della casa comune quando, entrando in una chiesa di un paese straniero può, almeno un alcune parti, unirsi ai fratelli nella fede in virtù dell’uso della stessa lingua?<br />
Perché questo continui a essere concretamente possibile è necessario che nelle nostre chiese e comunità l’uso del latino sia conservato con la dovuta saggezza pastorale.<br />
<br />
<b>Conclusione</b><br />
Come si diceva, nel considerare alcuni aspetti celebrativi è stata data qualche priorità. Sottolineare alcune priorità, mettere in luce alcuni problemi, prospettare possibili cambiamenti rientra nel desiderio di dare un contributo alla piena e autentica realizzazione della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II. Per tutti noi tale riforma è stata ed è provvidenziale nel cammino storico della Chiesa, che si sviluppa e cresce in una logica di continuità e di organicità con il suo passato. Ma proprio perché si desidera che tale riforma, nella sua attuazione, sia pienamente fedele agli orientamenti conciliari e dia tutti i frutti sperati è anche lecito esaminare le problematiche suscitate nel tempo da talune asserzioni non sempre felici e da altre realizzazioni concrete non sempre del tutto ispirate. La vera fedeltà alla riforma voluta dal Vaticano II richiede che, mentre si promuove tutto ciò che è vero dono di rinnovamento, si prendano in esame con libertà di spirito, animo ecclesiale e senza preclusioni ideologiche i problemi esistenti. E’ uno stesso amore che tutti ci deve animare: quello per il Signore e per la sua Chiesa, quello per la liturgia, azione di Cristo e della Chiesa.<br />
<br />
<div align="right">Mons. Guido Marini<br />
<i>Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie</i></div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-66721538576827142832010-11-13T14:11:00.001+01:002010-11-13T14:14:55.721+01:00“L’ASSUNTA”<div align="center"><b><i><span style="color: #663300; font-size: medium;">Celebrazioni per il sessantesimo anniversario della proclamazione<br />
del dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria</span></i></b></div><div align="right"><br />
</div><div align="right"><i>Roma, Sala dei Cardinali, 29 0ttobre 2010</i></div><br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgYQabLYoJre4Pv_gkb_s4cofduC0QSVbtaYgb5ZMOTjsyWcVeXFX39vHqqhVJGvvJg9hpAeKUiQf0PWmSO4w5TIOstZ-VHczK9bhVDu-_degxMWbbcvlBuhaYgE4zSTsOBUxEn3DfRNTk/s1600/DSCN5039.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgYQabLYoJre4Pv_gkb_s4cofduC0QSVbtaYgb5ZMOTjsyWcVeXFX39vHqqhVJGvvJg9hpAeKUiQf0PWmSO4w5TIOstZ-VHczK9bhVDu-_degxMWbbcvlBuhaYgE4zSTsOBUxEn3DfRNTk/s200/DSCN5039.JPG" width="149" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br />
</td></tr>
</tbody></table>Se è vero, come è vero, che esiste nella Chiesa un rapporto intrinseco e vitale tra la “lex credendi” e la “lex orandi”, anche per la grande solennità dell’Assunta non si può fare a meno di radicare l’espressione liturgica sul dato fondante della fede.<br />
Per questo motivo è quanto mai importante riascoltare le parole con le quali il Venerabile <a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/index_it.htm">Pio XII</a>, il 1° novembre del 1950, definì solennemente il dogma dell’Assunzione di Maria: «In tal modo - afferma il Papa - l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua Concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del Divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli» (Cost. ap. <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/apost_constitutions/documents/hf_p-xii_apc_19501101_munificentissimus-deus_it.html">Munificentissimus Deus</a></i>, <i>AAS</i> 42 (1950), 768-769).<br />
Con tale definizione <a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/index_it.htm">Pio XII</a> dava forza dogmatica a quanto il popolo cristiano fin da subito aveva affermato di credere, anche per il tramite della preghiera e della liturgia. In effetti, già nel V secolo è attestata a Gerusalemme, nel calendario Gerosolimitano, la memoria di una festa mariana il 15 agosto. Sarà proprio questa ricorrenza liturgica che si trasformerà, ben presto, da memoria generica della Madre di Dio a celebrazione della sua Assunzione.<br />
Ma non è mio compito, in questa sede, né approfondire il dato di fede da un punto di vista teologico, né considerare il percorso storico della festività mariana lungo i secoli. Mi è richiesto, piuttosto, di addentrarmi nell’espressione liturgica di questa grande solennità mariana, senza dimenticare l’orizzonte di fede da cui essa promana.<br />
<b>1. L’immagine del cielo</b><br />
Al riguardo mi servo di un’immagine molto bella e suggestiva che, in modo ricorrente, il Santo Padre <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> usa per illustrare il significato profondo della liturgia della Chiesa. Mi riferisco all’immagine del cielo che si affaccia sulla terra e della terra che viene come rapita verso il cielo. L’immagine citata, nella sua duplice direzione, appare quanto mai appropriata e vera proprio per la ricorrenza liturgica dell’Assunta. I brani della Scrittura che la Chiesa offre al nostro ascolto il 15 agosto, come anche l’eucologia, ovvero l’insieme delle preghiere che danno forma e accompagnano la celebrazione, sono la testimonianza più eloquente di quanto si va affermando. E, d’altra parte, non adombra forse proprio questa immagine dell’attuale Pontefice la definizione di <a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/index_it.htm">Pio XII</a>, che proclama Maria Santissima “innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo”?<br />
Vale la pena ricordare che con il termine “cielo” non si vuole certo fare riferimento a un qualche luogo dell’universo geograficamente posto sopra di noi. Ci riferiamo a una realtà molto più bella e più grande: a Dio che, nel suo infinito amore per noi, a noi si è fatto vicino a tal punto da non abbandonarci neppure dopo la morte. Così quando diciamo “cielo” diciamo il mondo di Dio e della sua eternità, il mistero della morte e risurrezione del Signore nel quale, per grazia, siamo introdotti tutti noi. “Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”, ci ricorda San Paolo nel brano della Prima Lettera ai Corinzi, proprio il 15 agosto. Come affermava il Venerabile Giovanni Paolo II, “col mistero dell'assunzione al Cielo, si sono definitivamente attuati in Maria tutti gli effetti dell'unica mediazione di Cristo Redentore del mondo e Signore risorto” (Lettera Enciclica<i>Redemptoris Mater, </i>41).<br />
Tuttavia questo non basta ancora a illustrare il significato del termine “cielo”. Infatti, è proprio del “cielo” della nostra fede accogliere per intero la nostra vita. Affermava <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> nell’<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100815_assunzione_it.html">omelia per la solennità dell’Assunta di quest’anno</a>: “Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. Esistiamo in tutta la nostra realtà, non solo nella nostra «ombra». La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità. E’ il suo Amore che vince la morte e ci dona l’eternità, ed è questo amore che chiamiamo «cielo»: Dio è così grande da avere posto anche per noi. E l’uomo Gesù, che è al tempo stesso Dio, è per noi la garanzia che essere-uomo ed essere-Dio possono esistere e vivere eternamente l’uno nell’altro. Questo vuol dire che di ciascuno di noi non continuerà ad esistere solo una parte che ci viene, per così dire, strappata, mentre altre vanno in rovina; vuol dire piuttosto che Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Tutto l’uomo, tutta la sua vita viene presa da Dio ed in Lui purificata riceve l’eternità. Cari Amici! Io penso che questa sia una verità che ci deve riempire di gioia profonda. Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, «la vita del mondo che verrà»: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio”.<br />
<b>2. Il cielo che si affaccia sulla terra e la terra che viene rapita verso il cielo</b><br />
Alla luce di quanto fin qui detto, si possono considerare tre immagini bibliche, offerte a noi dalla liturgia, per capire di più perché nella celebrazione dell’Assunta il cielo si affaccia sulla terra e la terra viene rapita verso il cielo.<br />
- <u>“La donna vestita di sole”</u><br />
La prima lettura della Messa del giorno, tratta dal libro dell’Apocalisse, si offre a noi così: “Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (11, 19 – 12, 1).<br />
La donna vestita di sole è Colei che è stata assunta in cielo in anima e corpo, definitivamente vittoriosa sul peccato e sulla morte. Con lei davvero il cielo si affaccia sulla terra e la liturgia risplende ancora di più per questa sua dimensione essenziale e costitutiva. Nella Messa vespertina nella vigilia della solennità la Chiesa ci fa riascoltare le parole dell’apostolo Paolo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria: Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”. Queste parole, espressione di una sfida che è ormai vinta, riecheggiano nell’immagine dell’Assunta, per la quale oramai il male non ha più alcuna possibilità di vittoria e la morte non ha più alcun pungiglione. “L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte” (I Cor 15, 26): ciò che è il “non” ancora” per noi è il “già” di Maria. E’ il suo cielo che si affaccia sul pellegrinaggio della nostra vita. E la nostra vita ritrova la gioia dell’orientamento verso il suo cielo, lo slancio per la lotta al peccato e a ogni forma di male, il desiderio dello splendore della grazia.<br />
- <u>“La nuova Eva”</u><br />
La Chiesa, nei Primi Vespri della solennità liturgica, canta: “Una donna ha chiuso la porta del cielo, una donna l’apre per noi. Maria, madre del Signore”.<br />
In tal modo il cielo che si affaccia sulla terra dona ali d’aquila alla speranza della Chiesa, che prega così nella colletta della Messa vespertina nella vigilia della solennità: “O Dio, che volgendo lo sguardo all’umiltà della Vergine Maria l’hai innalzata alla sublime dignità di madre del tuo unico Figlio fatto uomo e oggi l’hai coronata di gloria incomparabile, fa’ che, inseriti nel mistero di salvezza, anche noi possiamo per sua intercessione giungere fino a te nella gloria del cielo”. E’ la stessa Chiesa che nel prefazio della Messa del giorno ancora canta: “Oggi la Vergine Maria, madre di Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, è stata assunta nella gloria del cielo. In lei, primizia e immagine della Chiesa, hai rivelato il compimento del mistero della salvezza e hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza”.<br />
In Maria, la nuova Eva, primizia e immagine dell’umanità rinnovata dalla salvezza, il cielo viene a noi, come anticipazione di ciò che tutti desideriamo e speriamo, pregustazione di quella bellezza perduta e sempre ricercata che è la santità.<br />
Il testo eucologico citato, facendo riferimento a Maria coronata, intende rinviare all’altra festa mariana del mese di agosto, quella della Beata Maria Vergine Regina, oggi collocata nel calendario liturgico sette giorni dopo la solennità dell’Assunta. In tal modo siamo indotti a ricordare che, in cielo, Maria è Regina degli Angeli e dei Santi e che, in virtù di tale posizione unica, del tutto singolare è pure la sua forza di intercessione presso Dio a nostro favore. Anche per questo guardare all’Assunta significa perciò stesso ritrovare e accrescere la speranza.<br />
- <u>“La benedetta fra le donne”</u><br />
Quali sono le radici della vittoria sulla morte anticipata in Maria? Non è un caso che la pagina del vangelo di Luca proclamata nel giorno dell’Assunta, in entrambe le forme del Rito Romano, sia quella nella quale la SS. Vergine è dichiarata beata a motivo della sua fede. “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”, esclama a gran voce Elisabetta all’indirizzo della più giovane cugina.<br />
Le radici di quella prodigiosa vittoria stanno proprio nella fede della Vergine di Nazareth. Una fede che è obbedienza alla Parola di Dio e abbandono totale all’iniziativa e all’azione divina. Così l’assunzione della Madonna è il coronamento della sua fede, di quel cammino di fede che Ella indica alla Chiesa e a ciascuno di noi, di quel cammino che introduce già ora spazi di cielo su questa nostra terra, perché rende la dimora degli uomini un po’ più simile alla dimora eterna di Dio verso la quale siamo incamminati.<br />
Recitando la preghiera del “Padre nostro”, ogni volta ripetiamo la grande invocazione: “…venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Il regno di Dio viene a noi, uno spazio di cielo si apre alla nostra contemplazione nella misura in cui in terra si compie la volontà di Dio, si vive nella fede l’obbedienza filiale alla volontà del Signore. Maria, in virtù della sua fede esemplare apre le porte del cielo e noi avvertiamo il desiderio di percorrere il suo stesso cammino di fede perché la terra della nostra vita possa essere già una pregustazione del cielo.<br />
<b>3. Le espressioni della pietà popolare</b><br />
Ad arricchimento di quanto affermato, mi pare a questo punto significativo ricordare alcune manifestazioni della pietà popolare sorte nel tempo attorno alla solennità liturgica dell’Assunta. Ritengo importante questo arricchimento conclusivo, considerando il modo in cui si esprime il<i><a href="http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20020513_vers-direttorio_it.html">Direttorio su Pietà popolare e Liturgia</a></i>: “Nell’affermare il primato della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù» (<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html">Sacrosanctum Concilium</a></i>, 10), il <a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm">Concilio Ecumenico Vaticano II</a> ricorda tuttavia che «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (12). A conferma di ciò, in questo contesto è certamente significativo ricordare l’insegnamento sempre valido del Venerabile <a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/index_it.htm">Pio XII</a> nella Lettera enciclica sulla Liturgia <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_20111947_mediator-dei_it.html">Mediator Dei</a></i>, il 20 novembre 1947: “Senza dubbio la preghiera liturgica, essendo pubblica supplica dell’inclita Sposa di Gesù Cristo, ha una dignità maggiore di quella delle preghiere private; ma questa superiorità non vuol dire che fra questi due generi di preghiera ci sia contrasto od opposizione. Tutti e due si fondano e si armonizzano perché animate da un unico spirito… e tendono allo stesso scopo” (n. 31).<i></i><br />
Non si dimentichi, infine, quanto <a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/index_it.htm">Benedetto XVI</a> ha scritto di recente riguardo alla pietà popolare, rivolgendosi ai Seminaristi di tutto il mondo: “Attraverso di essa, la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà popolare è un grande patrimonio della Chiesa. La fede si è fatta carne e sangue. Certamente la pietà popolare deve essere sempre purificata, riferita al centro, ma merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente reale «Popolo di Dio»” (<i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2010/documents/hf_ben-xvi_let_20101018_seminaristi_it.html">Lettera ai Seminaristi</a>,</i> 18 ottobre 2010).<br />
Vengo così a ricordare due manifestazioni della pietà popolare che, in definitiva, se vissute correttamente, scaturiscono dalla liturgia dell’Assunta e a essa riconducono.<br />
- Storicamente, a dare un particolare rilievo alla festività dell’Assunta contribuì certamente “la processione ordinata da Papa Sergio, che a Roma si svolgeva con una solennità e uno splendore incomparabili - come ricorda il Righetti, nella sua “Storia liturgica” - e nella quale la famosa immagine acheropita del Salvatore veniva portata dal Laterano alla basilica di Santa Maria Maggiore”. La processione, a motivo di vari abusi che si erano verificati nel corso del tempo, venne abolita al tempo di Pio V. Tuttavia essa è rimasta in molti luoghi dell’Italia, specialmente del Lazio, che l’avevano imitata da Roma. La sera della vigilia si formano due processioni, una con l’immagine del Salvatore, l’altra con quella della Santa Vergine, che muovono una incontro all’altra. Quando i due cortei si incontrano, i portatori delle due immagini si scambiano il segno della pace, il celebrante offre l’incenso alle sante immagini, il Cristo prende la destra, la Vergine la sinistra. E così, in processione, si va alla chiesa intitolata alla Madonna, dove il rito termina con una solenne benedizione.<br />
Non è difficile scorgere in questa duplice processione che si compie nell’incontro delle due sacre immagini, l’espressione popolare della verità circa il radicamento nel mistero di Cristo dell’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo. E, d’altra parte, l’ingresso congiunto delle due immagini nella chiesa richiama l’ingresso in Paradiso della SS. Vergine, in definitiva, lo spalancarsi del cielo sulla terra.<br />
- L’altra manifestazione della pietà popolare degna di nota è quella delle benedizioni, ad esempio, dei fiori e delle erbe medicinali che, fin dal secolo X, almeno nelle regioni del nord Europa, era abituale compiere il giorno della solennità dell’Assunta. Nelle Alpi francesi e austriache, invece, il 15 agosto o uno dei giorni seguenti, i sacerdoti andavano a cavallo per benedire i pascoli e il bestiame raccolto attorno a una croce decorata di fiori. Sulle coste del Mediterraneo e dell’Atlantico, infine, si procede alla benedizione del mare e dei pescherecci. Sono questi tanti e diversi modi di invocare la protezione di Maria sulla vita quotidiana e sul lavoro dell’uomo e di ricordare, in modo molto semplice, che là dove l’Assunta si rende presente il cielo si affaccia sulla terra e la terra viene rapita verso il cielo.<br />
Vale la pena, forse, tenendo presenti queste manifestazioni della pietà popolare, ricordare quanto afferma il <a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/index_it.htm">Concilio Vaticano II</a>, a proposito della SS. Vergine: “Assunta in cielo ella non ha deposto questa missione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni della salvezza eterna” (<i><a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html">Lumen Gentium</a></i>, 62).<br />
<b>Conclusione</b><br />
In tal modo ciò che la preghiera della Chiesa esprime nella celebrazione liturgica della solennità dell’Assunta si ritrova, in forma molto semplice, nelle diverse manifestazioni della pietà popolare che hanno preso forma lungo i secoli. Come affermava Papa <a href="http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/index_it.htm">Paolo VI</a> nella <i><a href="http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19740202_marialis-cultus_it.html">Marialis cultus</a></i>: “La solennità del 15 agosto è la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo Verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo Risorto; una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: che tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli” (n. 6). Tutto converge nell’immagine del “cielo” al quale l’Assunzione di Maria in anima e corpo ci rimanda. Un cielo che si affaccia sulla terra per essere contemplato nel gaudio della fede, un cielo che diventa richiamo a ciascuno di noi perché affrettiamo il cammino che lì ci conduce.<br />
Può essere suggestiva sintesi conclusiva della ricchezza liturgica dell’Assunzione di Maria, la bellissima preghiera che San Germano, vescovo di Costantinopoli nel secolo VIII, rivolgeva alla Madonna in un discorso tenuto per la festa dell’Assunta: “Tu sei Colei, che per mezzo della tua carne immacolata ricongiungesti a Cristo il popolo cristiano… Come ogni assetato corre alla fonte, così ogni anima corre a Te, fonte di amore, e come ogni uomo aspira a vivere, a vedere la luce che non tramonta, così ogni cristiano sospira ad entrare nella luce della Santissima Trinità, dove Tu sei già entrata”.<br />
<br />
<div align="right">Mons. Guido Marini<i><br />
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie</i><br />
<i><br />
</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-23625565311663719082010-10-15T13:08:00.002+02:002010-10-21T23:21:05.261+02:00PREPARATIVI PER IL VIAGGIO APOSTOLICO A BARCELLONA<span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial; font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 13px;"><span class="Apple-style-span" style="-webkit-border-horizontal-spacing: 2px; -webkit-border-vertical-spacing: 2px; border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; line-height: 16px;"></span></span></span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial; font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 13px;"><span class="Apple-style-span" style="-webkit-border-horizontal-spacing: 2px; -webkit-border-vertical-spacing: 2px; border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; line-height: 16px;"><a href="http://revistaecclesia.com/images/stories/verano2010/piero.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Image" border="0" height="200" hspace="6" src="http://revistaecclesia.com/images/stories/verano2010/piero.jpg" title="Immagine" width="154" /></a><span style="font-family: Verdana; font-size: 10pt;"></span></span></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Arial; font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 13px;"><span class="Apple-style-span" style="-webkit-border-horizontal-spacing: 2px; -webkit-border-vertical-spacing: 2px; border-collapse: collapse; color: #333333; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; line-height: 16px;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Helvetica, Arial, sans-serif;"><span style="font-family: Verdana; font-size: 10pt;"><br />
</span></span></span></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: 13px;"><span class="Apple-style-span" style="-webkit-border-horizontal-spacing: 2px; -webkit-border-vertical-spacing: 2px; border-collapse: collapse; color: #333333; line-height: 16px;"><span style="font-size: 10pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Monsignor Guido Marini, maestro delle cerimonie del Santo Padre ha visitato Barcellona in questi giorni per finalizzare i dettagli della cerimonia della dedicazione del tempio</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> <st1:personname productid="la Sagrada Familia" w:st="on"><span style="font-size: 10pt;">Sacra Famiglia</span> </st1:personname><span style="font-size: 10pt;">, Domenica 7 novembre.</span></span></span></span></span></div><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><o:p></o:p><br />
</span></span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><span style="font-size: 10pt;"></span></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span style="font-size: 10pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Mons. Marini, accompagnato dal Cardinale Lluís Martínez Sistach, ha visitato il tempio</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> della <st1:personname productid="la Sagrada Familia" w:st="on"><span style="font-size: 10pt;">Sacra Famiglia</span> </st1:personname><span style="font-size: 10pt;">e</span> <st1:personname productid="la Obra" w:st="on"><span style="font-size: 10pt;">il Centro</span> </st1:personname><span style="font-size: 10pt;">sociale "Nen Deu." Hanno anche stabilito gli ultimi dettagli del libretto da dare ai fedeli che parteciperanno all'evento s</span><span style="font-size: 10pt;">ia all'interno che all'esterno del Tempio dove avranno posti a sedere e schermi giganti per seguire la cerimonia.</span> <span style="font-size: 10pt;">Dobbiamo ricordare che per accedere a questo spazio sarà necessario presentare l'invito.</span> <span style="font-size: 10pt;">Le persone potranno vedere il Santo Padre per tutto il tour proseguirà in "papamobile" p</span><span style="font-size: 10pt;">er queste strade: Av.</span> <st1:personname productid="la Catedral" w:st="on"><span style="font-size: 10pt;">Cattedrale</span> </st1:personname><span style="font-size: 10pt;">, Via Laietana, Pau Claris, Marina Diputació su e giù per questa strada fino a</span><span style="font-size: 10pt;">l</span><st1:personname productid="la Sagrada Familia." w:st="on"><span style="font-size: 10pt;">la Sagrada Familia.</span></st1:personname><o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span style="font-size: 10pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">In questa cerimonia, il Santo Padre utilizzerà il catalano, il castigliano e il latino.</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> <span class="Apple-style-span" style="font-size: 13.3333px;"> </span></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><o:p></o:p></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span style="font-size: 10pt;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Barcellona, 13 ottobre 2010</span></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;"><br />
</span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">Fonte: <a href="http://www.revistaecclesia.com/content/view/20809/309/">revistaecclesia.com</a></span></span></div><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 15px; margin-top: 10px; text-align: justify;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: small;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: inherit;">N.B. Traduzione nostra.</span></span></div>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-47830122420126444052010-10-09T14:16:00.002+02:002010-10-09T14:20:28.894+02:00E' DALLA LITURGIA CHE SI OTTIENE LA GRAZIA CHE CI SALVA!<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgofb6n1tygKc3UN7LEo2I6hifWt1zfknOfTJG7PLvMN1hsfKMnKLHXVzhAgwQHwLACL51-M5BXwwK4q9Pa6yam0wsWTTmqw9cDz6xdfWVPNq2EBJgXE7OICrrnZtA-O6qnUJtHsKI82jyZ/s1600/59601_1642405106313_1422408758_1706409_3295671_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" ex="true" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgofb6n1tygKc3UN7LEo2I6hifWt1zfknOfTJG7PLvMN1hsfKMnKLHXVzhAgwQHwLACL51-M5BXwwK4q9Pa6yam0wsWTTmqw9cDz6xdfWVPNq2EBJgXE7OICrrnZtA-O6qnUJtHsKI82jyZ/s200/59601_1642405106313_1422408758_1706409_3295671_n.jpg" width="131" /></a><em>Per il Cerimoniere del Santo Padre, la liturgia è intrinsecamente legata alla spiritualità, questo si riflette nelle nomine e le considerazioni di Papa Benedetto XVI sulla questione. In questa intervista esclusiva a </em><a href="http://translate.google.it/translate?js=n&prev=_t&hl=it&ie=UTF-8&layout=2&eotf=1&sl=es&tl=it&u=http%3A%2F%2Fes.gaudiumpress.org%2Fview%2Fshow%2F20106--es-de-la-liturgia-que-obtenemos-la-gracia-que-nos-salva-afirma-monse-or-guido-marini"><em>Gaudium Press</em></a><em> di Roma, monsignor Guido Marini parla di riforma, la giustificazione e la fedeltà liturgica. </em></div></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><em>N. B. Traduzione nostra.</em></div></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Gaudium Press - In che modo la Chiesa cattolica comprende la liturgia dopo il Concilio Vaticano II? Il Santo Padre durante il suo recente viaggio in Inghilterra, nella cattedrale di Westminster ha parlato l'entità del sacrificio. </div><br />
Penso che ci siano due aspetti della celebrazione eucaristica, in cui uno deve essere collegato agli altri. Infatti, come dicono i documenti del Magistero, la Messa è il rinnovamento del sacrificio del Signore e nello stesso tempo, è anche il tempo, il luogo in cui viene comunicato il sacrificio a noi attraverso il segnale convinzione. Quindi penso che ci sono due elementi, entrambi fondamentali per la comprensione della celebrazione eucaristica. Credo anche che la dimensione sacrificale è una dimensione della fondazione. Perché se non ci fosse il sacrificio redentore, non ci sarebbe alcuna possibilità di comunicare questo sacrificio e così entrare in comunione con la salvezza che ci è stato data dal nostro Signore Gesù. Penso che questa sia la visione che la Chiesa trasmette attraverso il suo insegnamento, e che ci porta al vero cuore della liturgia. <br />
<br />
GP - Il Santo Padre si riferisce anche alla questione della giustificazione. Siempre hablando sobre liturgia, sempre parlando di liturgia, come la Chiesa cattolica presenta la questione della giustificazione in Cristo? <br />
<br />
Nel campo della liturgia, proprio perché ripropone, presenta, attualizza il mistero della salvezza, cioè, il Signore morto e risorto per noi, è anche presentato come il momento della giustificazione dell' umanità e dell'uomo. Perché sappiamo che l'uomo è salvato solo in virtù di questo mistero di morte e resurrezione. Naturalmente, dopo ogni deve essere appropriato personalmente, soggettivamente, questa giustificazione è stata data. Quindi penso che entrambi gli aspetti sono importanti, fondamentali per partecipare alla liturgia. Da un lato è un dono, che è il dono della salvezza, e quindi il mistero che si rinnova. Inoltre, questo dono deve essere, tuttavia, accolto con favore nella vita di ciascuno e la vita deve diventare vita. Poi, c'è sempre il rapporto tra dono e responsabilità, giustificazione e motivazione della vita dell'ospite. <br />
<br />
GP - L'allora professor Ratzinger nei suoi scritti parla di riforma, la riforma della liturgia. Come si fa a vedere questa richiesta di riforme, i cambiamenti nella liturgia? In realtà, alcune modifiche sono già state introdotte da papa Benedetto XVI. <br />
<br />
Quando a volte si è parlato e si è usato il termine "riforma della riforma" si rischia di essere "fraintesi". Poiché non tutti capiscono lo stesso e non tutti vogliono capire allo stesso modo. Io credo che, oltre alle frasi dette, ciò che è importante è che la riforma che il Concilio Vaticano II ha cominciato ad essere effettivamente realizzata, in modo globale, secondo gli insegnamenti del Concilio, che ha messo la liturgia in tutta la sua continuità con la tradizione e nello stesso tempo con l'approccio di uno sviluppo organico. La prestazione concreta della riforma dopo il Concilio Vaticano II non è sempre felice. Esattamente il motivo è che può essere necessario apportare delle modifiche, cambiamenti, qualche miglioramento, solo per agire in modo globale alle linee guida del Concilio e fare in modo che appaia sempre più evidente con lo sviluppo della liturgia della Chiesa che si trova in continuità organica con il suo predecessore. <br />
GP - Una delle indicazioni del Vaticano II, non realizzata in pratica, è stato il desiderio di movimento liturgico nella Chiesa, soprattutto in Germania e in Francia. Ora, come va questa esigenza nella pastorale liturgica? <br />
<br />
Il Papa stesso, ancora cardinale, aveva voluto un nuovo movimento liturgico che creerebbe le condizioni, le basi, lo sviluppo interiore, l'approfondimento della vita liturgica della Chiesa. Así como fue antes del Concilio Vaticano II. Proprio come lo era prima del Concilio Vaticano II. Anche qui ci sono diversi modi di vedere, di estendere le relazioni tra il movimento liturgico, prima del Concilio, con il movimento liturgico che continua con interesse più significativo, forse rinnovato.Penso che la vita liturgica della Chiesa conosce un fioritura, se c'è un terreno che è in grado di fiorire. Penso che sia importante amare la liturgia e anche vivere con fedeltà alle direttive della Chiesa, per diventare, in qualche modo, il grande movimento liturgico che possa poi portare frutto per la vita liturgica della Chiesa. <br />
<br />
GP - Il Santo Padre durante l'udienza generale il 29 settembre ha detto che "La liturgia è una grande scuola di spiritualità". Cosa dire al Papa? <br />
<br />
Penso che intendeva dire che la spiritualità cristiana è nata dalla liturgia e la liturgia è in crescita. Penso che la spiritualità è inconcepibile al di fuori del contesto liturgico. Proprio perché è la liturgia, dalla quale abbiamo la grazia che ci salva, ed è nella liturgia che noi cresciamo nella grazia che ci salva. Abbiamo trovato il Signore vivente, presente nella Chiesa, operante nella sua Chiesa così in alto, proprio nella liturgia. Quindi, se questo manca, manca davvero la fonte di forza per qualsiasi spiritualità. Una vita spirituale vera, con una crescita della vita spirituale, un modo profondamente spirituale, è possibile solo in relazione con la liturgia.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-83120905832176325792010-09-06T23:21:00.000+02:002010-09-06T23:21:39.282+02:00L'USO DEL LATINO NELLE CELEBRAZIONI PONTIFICIE IN GRAN BRETAGNA<em>Dall'agenzia </em><a href="http://www.heraldscotland.com/"><em>heraldscotland</em></a><em> alcune novità circa il viaggio apostolico di papa Benedetto in terra inglese.</em><br />
<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjScFwQr04zgYhoyB7dpyjhdb2OQ670ByNy6YUYzpM0teAJMSMe_2khOzuzjzOvQNwSGHdNzRFPm3Q5z-kcKEPCR8Lido4Fqhr5uqJfEPIDf1LuKoGNuXJDsEWBDdiCPNzAFyNSMcNSbYiK/s1600/610xopo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="126" ox="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjScFwQr04zgYhoyB7dpyjhdb2OQ670ByNy6YUYzpM0teAJMSMe_2khOzuzjzOvQNwSGHdNzRFPm3Q5z-kcKEPCR8Lido4Fqhr5uqJfEPIDf1LuKoGNuXJDsEWBDdiCPNzAFyNSMcNSbYiK/s200/610xopo.jpg" width="200" /></a>In un'intervista con The Herald, pubblicata oggi, monsignor Guido Marini, maestro delle cerimonie pontificie, ci anticipa che il Prefazio e il Canone (le parti piu' significative) saranno recitate in Latino. <span style="color: red;">[prassi ben nota nelle celebrazioni papali]</span></div><br />
<br />
Mons. Marini ha dichiarato: "Per tutte le Messe celebrate nel Regno Unito, il Prefazio e il Canone saranno recitati in latino. Ciò che il Santo Padre si riserva di utilizzare in latino è per sottolineare l'universalità della fede e la continuità della Chiesa ". <br />
<br />
Il Canone è la parte più significativa della Messa in quanto precede e segue la consacrazione. <br />
Mons. Marini ha inoltre rivelato una nuova traduzione inglese della Messa, che sarà introdotta il prossimo anno, sarà l'aderenza al latino originale usato dalla Chiesa per 1500 anni prima del Concilio Vaticano del 1960. Parti di esso saranno recitate a Bellahouston per la prima volta.Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-33451338237223499402010-09-06T21:57:00.001+02:002010-09-06T21:59:53.017+02:00LA RIFORMA DELLA RIFORMA DI BENEDETTO XVI<em></em><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><em>Pubblichiamo una parte dell'interista edita dal sito inglese </em><a href="http://www.catholicsentinel.org/Main.asp?SectionID=10&SubSectionID=93&ArticleID=12398"><em>Catholic Sentinel</em></a> <em>rilasciata da mons. Guido Marini in concomitanza del viaggio apostolico di Benedetto XI in Gran Bretagna. La traduzione è nostra.</em></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4jtgpqPTDVYSOgFOCS8Xk1ajUN9k53pZC_PdyrXZU9osXZ-iIR3ZkLKoktGpJonx5HP4lIkRs6e_Kvidack61bF3EROFD2yzOaeGeKtdMjMgrnoHZFrQhnYZHk_ZJ3UyFUz_E-igiPOlK/s1600/30195_1481894973660_1422408758_1285363_5257387_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="133" ox="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4jtgpqPTDVYSOgFOCS8Xk1ajUN9k53pZC_PdyrXZU9osXZ-iIR3ZkLKoktGpJonx5HP4lIkRs6e_Kvidack61bF3EROFD2yzOaeGeKtdMjMgrnoHZFrQhnYZHk_ZJ3UyFUz_E-igiPOlK/s200/30195_1481894973660_1422408758_1285363_5257387_n.jpg" width="200" /></a>Nel 2001, il futuro Papa Benedetto XVI ha definito il nuovo movimento liturgico come un progetto per "risvegliare il senso interiore della sacralità". L'allora cardinale Joseph Ratzinger, scrisse: "La cosa più importante oggi è quella di acquisire di nuovo un rispetto per la liturgia e la consapevolezza che non è aperta alla manipolazione. Per imparare ancora una volta a riconoscere nella sua natura, una creazione vivente che cresce ed è stata data come dono attraverso il quale noi partecipiamo alla liturgia celeste. " Rinunciare a cercare in essa la nostra auto-realizzazione, al fine di vedere un dono".</div></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Il maestro delle celebrazioni pontificie, mons. Guido Marini, per anni ha auspicato una "riforma della riforma" della liturgia cattolica. Un movimento di rinnovamento sarebbe "in grado di operare una riforma della riforma, o meglio, spostare un passo più avanti nella comprensione dello spirito autentico della liturgia e della sua celebrazione", ha detto mons. Marini. Il liturgista del Papa ha detto che l'obiettivo del nuovo movimento della riforma "sarebbe quello di portare avanti la riforma della liturgia che i padri conciliari avevano lanciato" ma che "non sempre, nella sua attuazione pratica, ha trovato un adempimento tempestivo e felice". Mons. Marini ha aggiunto che "alcuni individui sono riusciti a sconvolgere la liturgia della Chiesa in vari modi, con il pretesto di un elaborata creatività. Ciò è stato fatto per motivi di adattamento alla situazione locale e alle esigenze della comunità, quindi di appropriarsi del diritto di sottrarre, aggiungere o modificare il rito liturgico nel perseguimento di fini soggettivi ed emotivi ". </div>Egli ha definito tali cambiamenti "follia casuale".Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-36584120723550694752010-08-24T17:06:00.001+02:002010-08-24T17:08:07.962+02:00OSSERVANZA DELLE NORME LITURGICHE E ARS CELEBRANDI<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzIerNp7OpBCmBB1SghM06YIMChpkaU6YE9S-t5qFYh8dmRUn1zq3zJn_WwCRQJDqNENgImojXpnYzwbYm7uxMULZiSmBU-oluqlW4158TXHWjNuN0nPpNLhOvJgh0MgPhWMpPT9c1_ntC/s1600/untitledxx.bmp" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="175" ox="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzIerNp7OpBCmBB1SghM06YIMChpkaU6YE9S-t5qFYh8dmRUn1zq3zJn_WwCRQJDqNENgImojXpnYzwbYm7uxMULZiSmBU-oluqlW4158TXHWjNuN0nPpNLhOvJgh0MgPhWMpPT9c1_ntC/s200/untitledxx.bmp" width="200" /></a>1. La situazione nel post-Concilio</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Il Concilio Vaticano II ha ordinato una riforma generale della sacra liturgia[1]. Essa è stata effettuata, dopo la chiusura del Concilio, da una commissione comunemente detta, per brevità, il Consilium[2]. È noto che la riforma liturgica è stata sin dall'inizio oggetto tanto di critiche, a volte radicali, quanto di esaltazioni, in certi casi eccessive. Non è nostra intenzione soffermarci su questo problema. Possiamo invece dire che si è generalmente d'accordo nel notare un forte aumento degli abusi in campo celebrativo dopo il Concilio.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Anche il Magistero recente ha preso atto della situazione e in molti casi ha richiamato alla stretta osservanza delle norme e delle rubriche liturgiche. D'altro canto, le leggi liturgiche stabilite per la forma ordinaria (o di Paolo VI) - quella che, eccezioni a parte, si celebra sempre e dovunque nella Chiesa di oggi - sono molto più "aperte" rispetto al passato. Esse consentono molte eccezioni e diverse applicazioni, e anche prevedono molteplici formulari per i diversi riti (la pluriformità persino aumenta nel passaggio dalla editio typica latina alle versioni nazionali). Nonostante ciò, un gran numero di sacerdoti ritiene di dover ulteriormente ampliare lo spazio lasciato alla "creatività", che si esprime soprattutto con il frequente cambiamento di parole o di intere frasi rispetto a quelle fissate nei libri liturgici, con l'inserimento di "riti" nuovi e spesso del tutto estranei alla tradizione liturgica e teologica della Chiesa e anche con l'uso di paramenti, vasi sacri e arredi che non sempre sono adeguati e, in alcuni casi più rari, rasentano persino il ridicolo. Il liturgista Cesare Giraudo ha sintetizzato la situazione con queste parole:</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Se prima [della riforma liturgica] c'erano fissità, sclerosi di forme, innaturalezza, che rendevano la liturgia di allora una "liturgia di ferro", oggi ci sono naturalezza e spontaneismo, indubbiamente sinceri, ma spesso fraintesi, malintesi, che fanno - o perlomeno rischiano di fare - della liturgia una "liturgia di caucciù", sgusciante, glissante, saponosa, che a volte si esprime in un ostentato affrancamento da ogni normativa rubricale. [...] Questa spontaneità fraintesa, che si identifica di fatto con l'improvvisazione, la faciloneria, il pressappochismo, il permissivismo, è il nuovo "criterio" che affascina innumerevoli operatori della pastorale, sacerdoti e laici.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div>[...] Non parliamo poi di quei sacerdoti che, talvolta e in taluni luoghi, si arrogano il diritto di utilizzare preghiere eucaristiche selvagge, o di comporne lì per lì il testo o parti di esso»[3].<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Papa Giovanni Paolo II, nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia, ha manifestato il suo malcontento per gli abusi liturgici che spesso avvengono, particolarmente nella celebrazione della S. Messa, in quanto «l'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni»[4]. E ha aggiunto:</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti. Una certa reazione al "formalismo" ha portato qualcuno, specie in alcune regioni, a ritenere non obbliganti le "forme" scelte dalla grande tradizione liturgica della Chiesa e dal suo Magistero e a introdurre innovazioni non autorizzate e spesso del tutto sconvenienti.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i misteri»[5].</div><br />
2. Cause ed effetti del fenomeno<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Il fenomeno della "disobbedienza liturgica" si è talmente esteso, per numero e in certi casi anche per gravità, da formare in molti una mentalità per la quale nella liturgia, fatte salve le parole della consacrazione eucaristica, si potrebbero apportare tutte le modifiche ritenute "pastoralmente" opportune dal sacerdote o dalla comunità. Questa situazione ha indotto lo stesso Giovanni Paolo II a chiedere alla Congregazione per il Culto Divino di preparare un'Istruzione disciplinare sulla Celebrazione dell'Eucaristia, pubblicata col titolo di Redemptionis Sacramentum il 25 marzo 2004. Nella citazione sopra riprodotta della Ecclesia de Eucharistia, si indicava nella reazione al formalismo una delle cause della "disobbedienza liturgica" del nostro tempo. La Redemptionis Sacramentum individua altre cause, tra cui un falso concetto di libertà[6] e l'ignoranza. Quest'ultima in particolare riguarda non solo la non conoscenza delle norme, ma anche una scarsa comprensione del valore storico e teologico di molti testi eucologici e riti: «Gli abusi trovano, infine, molto spesso fondamento nell'ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l'antichità»[7].</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Innestando il tema della fedeltà alle norme in una comprensione teologica e storica, nonché nel contesto dell'ecclesiologia di comunione, l'Istruzione afferma:</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Troppo grande è il Mistero dell'Eucaristia "perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale". [...] Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeli all'azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa Celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l'unità del popolo di Dio. Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di "secolarizzazione", confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della Santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme. Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della Santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa. È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa»[8].</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Particolarmente significativo in questo testo è il richiamo al diritto dei fedeli di avere la liturgia celebrata secondo le norme universali della Chiesa, nonché la sottolineatura del fatto che trasformazioni e modifiche della liturgia - pur se operate per motivi "pastorali" - non hanno in realtà un effetto positivo in questo campo; al contrario confondono, turbano, stancano e possono perfino far allontanare i fedeli dalla pratica religiosa. </div><br />
3. L'ars celebrandi<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Ecco i motivi per i quali il Magistero negli ultimi quattro decenni ha richiamato diverse volte i sacerdoti all'importanza dell'ars celebrandi, la quale - se non consiste solo nella perfetta esecuzione dei riti in accordo alle rubriche, ma anche e soprattutto nello spirito di fede e adorazione con cui essi si celebrano - non si può però attuare se ci si discosta dalle norme fissate per la celebrazione[9]. Così si esprime ad esempio il Santo Padre Benedetto XVI:</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L'ars celebrandi è la migliore condizione per l'actuosa participatio. L'ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cf. 1Pt 2,4-5.9)»[10].</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Richiamando questi aspetti, non si deve cadere nell'errore di dimenticare i frutti positivi prodotti dal movimento di rinnovamento liturgico. Il problema segnalato, tuttavia, sussiste ed è importante che la soluzione ad esso parta dai sacerdoti, i quali devono impegnarsi innanzitutto a conoscere in maniera approfondita i libri liturgici e anche a metterne fedelmente in pratica le prescrizioni. Solo la conoscenza delle leggi liturgiche e il desiderio di attenersi strettamente ad esse impedirà ulteriori abusi ed "innovazioni" arbitrarie che, se sul momento possono forse emozionare i presenti, in realtà finiscono presto per stancare e deludere. Fatte salve le migliori intenzioni di chi la commette, dopo quarant'anni di esperienza in merito possiamo riconoscere che la "disobbedienza liturgica" non costruisce affatto comunità cristiane migliori, ma al contrario mette in pericolo la solidità della loro fede e della loro appartenenza all'unità della Chiesa Cattolica. Non si può utilizzare il carattere più "aperto" delle nuove norme liturgiche come pretesto per snaturare il culto pubblico della Chiesa:</div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Le nuove norme hanno di molto semplificato le formule, i gesti, gli atti liturgici [...]. Ma neppure in questo campo non si deve andare oltre a quello che è stabilito: difatti, così facendo, si spoglierebbe la liturgia dei segni sacri e della sua bellezza, che sono necessari, perché sia veramente attuato nella Comunità cristiana il mistero della salvezza e sia anche compreso sotto il velo delle realtà visibili, attraverso una catechesi appropriata. La riforma liturgica infatti non è sinonimo di desacralizzazione, né vuole essere motivo per quel fenomeno che chiamano la secolarizzazione del mondo. Bisogna perciò conservare ai riti dignità, serietà, sacralità»[11].</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Tra le grazie che speriamo di poter ottenere dalla celebrazione dell'Anno Sacerdotale vi è pertanto anche quella di un vero rinnovamento liturgico in seno alla Chiesa, affinché la sacra liturgia sia compresa e vissuta per quello che essa è in realtà: il culto pubblico e integrale del Corpo Mistico di Cristo, Capo e membra, culto di adorazione che glorifica Dio e santifica gli uomini[12].<br />
__________________________________</div><br />
<span style="font-size: x-small;"><strong>Note</strong></span><br />
<span style="font-size: x-small;">1) Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 21.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">2) Abbreviazione di Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">3) C. Giraudo, «La costituzione "Sacrosanctum Concilium": il primo grande dono del Vaticano II», in La Civiltà Cattolica (2003/IV), pp. 532; 531.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">4) Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 10.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">5) Ibid., n. 52. Cf. anche Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 28.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">6) «Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto»: Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis Sacramentum, n. 7.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">7) Ibid., n. 9.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">8) Ibid., nn. 11-12.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">9) Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 20: «Per favorire il corretto svolgimento della sacra celebrazione e la partecipazione attiva dei fedeli, i ministri non debbono limitarsi a svolgere il loro servizio con esattezza, secondo le leggi liturgiche, ma debbono comportarsi in modo da inculcare, per mezzo di esso, il senso delle cose sacre». </span><br />
<span style="font-size: x-small;">10) Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 38. Si veda il n. 40 che sviluppa adeguatamente il concetto.</span><br />
<span style="font-size: x-small;">11) Sacra Congregazione per il Culto Divino, Liturgicae instaurationes, n. 1. Il testo continua: «L'efficacia delle azioni liturgiche non sta nella ricerca continua di novità rituali, o di ulteriori semplificazioni, ma nell'approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato, la cui presenza è assicurata dall'osservanza dei riti della Chiesa e non da quelli imposti dal gusto personale di un singolo sacerdote. Si tenga presente, poi, che la imposizione di rifacimenti personali dei sacri riti da parte del sacerdote offende la dignità dei fedeli, e apre la via all'individualismo e al personalismo nella celebrazione di azioni che direttamente appartengono a tutta quanta la Chiesa».</span><br />
<span style="font-size: x-small;">12) Cf. Pio XII, Mediator Dei, I, 1; Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 7.</span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-31644389644411038492010-06-21T23:19:00.000+02:002010-06-21T23:19:03.376+02:00IL SACERDOTE NELLA PRAEPARATIO E NELLA GRATIARUM ACTIO DELLA S. MESSA<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVxNsmzPnIeUrDE-enBS0pnLd3FbQskNlPX0_P94j25bRAteF2cDIpcz-J5k1Zr4PIg8Vln3cLmGLy81v_V14eHOEKdQc49UXUvvAvlz9U86NILyYFkRrxvQsFXO4Jd0f4y4uyAwHRUR6H/s1600/gpiifanbellmz0.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" ru="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVxNsmzPnIeUrDE-enBS0pnLd3FbQskNlPX0_P94j25bRAteF2cDIpcz-J5k1Zr4PIg8Vln3cLmGLy81v_V14eHOEKdQc49UXUvvAvlz9U86NILyYFkRrxvQsFXO4Jd0f4y4uyAwHRUR6H/s320/gpiifanbellmz0.jpg" /></a></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><strong>1. La preghiera intima e personale di Gesù</strong></div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Per il sacerdote portare frutto nella vita e nel ministero dipende dall’unione con Dio, unione che è alla base anche del fatto che i fedeli si rivolgono a lui perché preghi per loro. Gesù Cristo ha affidato a coloro che lo seguivano più da vicino una parola che chiarisce il senso di tutto il bene che avrebbero fatto: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi dimora in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Lo stesso Signore Gesù, nel contesto dei molti miracoli da lui operati, ha stabilito un tempo per stare solo, da dedicare alla preghiera al suo Padre celeste. Per Gesù, la preghiera ufficiale della liturgia era supportata da una vita interiore, nella quale la riservatezza supportava quell’intimità che nutre la preghiera personale. Le dimensioni ecclesiale e comunitaria sono rafforzate da simile relazione personale con Dio, che ogni fedele spera di poter approfondire.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">La ricerca di Dio, che dà significato alla vita di quelli che lo amano, serve da ricordo quotidiano del fatto che ogni benedizione proviene da e al tempo stesso rivolge verso il Dio onnipotente. La Sacra Scrittura descrive in maniera vivida il nutrimento che Gesù trasse dalla sua vita di preghiera nascosta: «Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare» (Lc 5,16). Allo stesso modo, notiamo l’importanza dei diversi momenti del giorno, dal fatto che Gesù si mostra particolarmente attento al silenzio della preghiera, in cui egli cerca il volere del Padre. Momenti simili incoraggiano uno speciale raccoglimento e una vicinanza ininterrotta: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35); «Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù» (Mt 14,23). </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><strong>2. La preghiera intima e personale del sacerdote</strong></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Il sacerdote, consapevole di partecipare all’opera di Cristo, si sforza di seguire il suo esempio, di guidare il santo popolo di Dio al Padre, attraverso Cristo nello Spirito Santo. Egli sa molto bene che, poiché i suoi difetti danneggiano la credibilità della sua testimonianza, deve chiedere con non minore urgenza a Dio di infondere in lui le virtù proprie del suo stato. Parte dell’omelia proposta nel rito di ordinazione del presbitero istruisce colui che sta per essere ordinato in questo modo: «Così continuerai l’opera di santificazione di Cristo. Attraverso il tuo ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli è reso perfetto, perché unito al sacrificio di Cristo, è offerto attraverso le tue mani nel nome della Chiesa in modo incruento sull’altare, nella celebrazione dei sacri misteri. Riconosci ciò che fai, imita colui che tocchi, sicché celebrando il mistero della morte e risurrezione del Signore, tu possa mortificare in te stesso tutti i vizi e prepararti a camminare in novità di vita». </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Si vede, perciò, che il motivo di una particolare preparazione del sacerdote prima della Messa e il ringraziamento dopo di essa risiede nel beneficio per l’intera Chiesa, perché il sacerdote che santifica il popolo cristiano ha bisogno lui per primo di essere riempito dallo spirito di santità. È sempre di aiuto al sacerdote l’aver preso un momento per considerare i testi che pregherà durante la Messa, sia nel giorno in cui vi partecipa l’assemblea, sia quando essa manca. Opportune riflessioni previe sui testi possono stimolare un desiderio più profondo di Dio. La preparazione testuale costituisce una preparazione liturgica coerente per la S. Messa, non da ultimo perché basata sulla Sacra Scrittura. Un sacerdote che coltiva il silenzio personale nel tempo che precede e che segue la S. Messa, con la sua stessa disposizione incoraggerà lo spirito di meditazione.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Un sacerdote in cura pastorale potrebbe dover lottare per stabilire il silenzio desiderabile in ogni sagrestia, specialmente se si presenta la necessità di dovervi incontrare dei fedeli. Ma proprio per lui in particolare, i testi di preparazione prima della Messa e di ringraziamento dopo di essa offrono pensieri utili ad elevare la mente e il cuore e, in tutto o in parte, possono essere pregati in qualunque momento. Essi riconoscono anche le limitazioni di tempo e perciò si presentano come un sostegno spirituale più che un’imposizione di obbligazione sul sacerdote che cerca di celebrare la Messa nel modo più riverente possibile. Va notato che la blanda rubrica che si trova sotto i titoli della Praeparatio ad Missam e della Gratiarum Actio nel Messale del 1962 riconosce tali esigenze concrete del sacerdote. Nessun atto di amore è, per definizione, affrettato. Avendo offerto il supremo sacrificio dell’amore di Cristo, è da aspettarsi che un sacerdote sarà mosso a fare quanto possibile per trovare un tempo, per quanto breve, per un atto di rigraziamento dopo la Messa. E si sentirà rafforzato per averlo fatto.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">La preparazione di un sacerdote per la Messa sarà ulteriormente sostenuta dal ciclo della Liturgia delle Ore, che arricchisce la vita di ogni sacerdote. L’antica sapienza del Ritus Servandus in Celebratione Missae, che si trova ancora nella prima parte del Messale del 1962, presume l’importanza intrinseca dell’Ufficio Divino per la vita interiore del presbitero. Essa stabiliva che il Mattutino e le Lodi dovevano essere stati completati prima della celebrazione. Nondimeno, va notato che il contesto di quella prescrizione secolare non poteva tenere presente la Messa serale. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Poiché la Messa è ormai celebrata a qualunque ora del giorno liturgico, non si applica più in modo restrittivo tale norma, tuttavia i Principi e Norme per la Liturgia delle Ore spiegano attentamente la connessione tra la celebrazione dell’Eucaristia e la Liturgia delle Ore: «Cristo ha comandato: “Bisogna pregare sempre senza stancarsi” (Lc 18,1). Perciò la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo comando, non cessa mai di innalzare preghiere e ci esorta con queste parole: “Per mezzo di lui (Gesù) offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio” (Eb 13,15). A questo precetto la Chiesa ottempera non soltanto celebrando l’Eucaristia, ma anche in altri modi, e specialmente con la Liturgia delle Ore, la quale, tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte».</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><strong>3. La Praeparatio ad Missam</strong></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">3.1. La comparazione dei testi offerti per la Praeparatio evidenzia che le stesse preghiere sono incluse nelle due forme del Rito Romano, sebbene esse siano state ridotte a quattro nel Missale Romanum del 1970. In questo, troviamo la preghiera Ad Mensam di sant’Ambrogio; l’Omnipotens sempiterne Deus, ecce accedo di san Tommaso d’Aquino; una preghiera alla Beata Vergine Maria, O Mater pietatis et misericordiae; e la Formula di Intenzione Ego volo celebrare Missam. A seguito di una prima riforma delle indulgenze fatta dopo il Concilio Vaticano II e pubblicata nell’Enchiridion delle Indulgenze del 1968, non si menzionano le indulgenze che sono state accordate alla recita di queste preghiere da Pio IX, i cui dettagli erano stati pubblicati nel Messale del 1962. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">3.2. Ampli testi adornano quel Messale. L’antifona Ne reminiscaris chiede a Dio di essere misericordioso nonostante i peccati nostri e di coloro che ci hanno preceduto. Essa è seguita dai salmi 83, 84, 85, 115 e 129. Il Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison e il Pater noster, i cui due ultimi righi formano l’inizio di una serie di versetti, sono seguiti da un numero di brevi collette. In alcuni manuali devozionali queste sette collette sono state attribuite a sant’Ambrogio e assegnate ai diversi giorni della settimana. Comunque sia, per come sono sistemate nel Messale, si ritiene che esse vadano dette in successione sotto un’unica conclusione. Tutte, eccetto la settima, si concentrano sull’opera di santificazione dello Spirito Santo. La settima colletta è seguita da una dossologia più lunga che conclude la serie. La prima colletta prega affinché lo Spirito Santo risplenda nei nostri cuori, così che possiamo celebrare degnamente i santi misteri. La seconda chiede che possiamo amare Dio perfettamente e lodarlo degnamente. La terza che possiamo servire Dio nella castità e purezza di spirito, mentre la quarta implora il Paraclito di illuminare le nostre menti. La quinta domanda la forza dello Spirito Santo per scacciare le forze del nemico. La sesta colletta chiede la sapienza e la consolazione e l’ultima supplica Dio di purificarci e di fare di noi il luogo della sua dimora.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">3.3. L’estesa Oratio Sacerdotis ante Missam è divisa nel Messale in sette parti, una per ogni giorno della settimana, e forma una meditazione orante sull’imitazione delle virtù di Cristo, Sommo Sacerdote. Il suo significato è altrettanto confortante quanto esigente. La rilevanza dei suoi vari temi è adeguata al suo stile letterario, che è insistente ed intimo. La domenica il sacerdote chiede allo Spirito Santo di insegnargli a trattare i santi misteri con reverenza, onore, devozione ed intimo timore. Il lunedì, si concentra sul suo bisogno di perfetta castità, mentre il martedì il sacerdote riconosce la propria indegnità a celebrare la Messa e, mentre proclama la sua fede nel fatto che Dio può supplire a quanto gli manca, chiede di percepire la sua presenza mentre celebra ed anche di essere circondato dagli angeli. Il mercoledì viene alla luce l’elenco delle necessità sociali delle persone per le quali Cristo ha versato il suo Sangue. Di giovedì il sacerdote, mentre mendica la misericordia divina, si ricorda di come la provvidenza soccorra all’umana fragilità: «Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato». Il venerdì il sacerdote prega specialmente per i defunti e il sabato egli riflette sul grande dono del Santissimo Sacramento e supplica che esso lo possa condurre a vedere Dio faccia a faccia.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">3.4. L’Ad Mensam di sant’Ambrogio chiede che il Corpo e il Sangue di Cristo possano perdonare il sacerdote dei suoi peccati e proteggerlo dai suoi nemici. La Preghiera di san Tommaso d’Aquino, invece, domanda che il potere risanante del Santissimo Sacramento possa preparare il sacerdote alla visione eterna di Dio. Nella Preghiera alla Beata Vergine Maria, il sacerdote prega non solo per se stesso, ma per tutti i suoi confratelli che celebrano Messa in quel giorno in tutto il mondo. Seguono preghiere a san Giuseppe, a tutti gli angeli e i santi e infine una preghiera al santo in onore del quale verrà celebrata la Messa. La Formula di Intenzione ricorda al sacerdote l’intenzione della Chiesa a riguardo della celebrazione della Messa, nonché il suo ruolo all’interno di essa. Il sacerdote non è all’opera da solo. Ciò che egli compie è stato consegnato da Cristo alla sua Chiesa, confermato dal Magistero e supportato dalla Tradizione. Il sacerdote rende presente il Corpo e Sangue di Cristo. Egli segue il rito della santa Chiesa Cattolica. Suo scopo è di lodare Dio e la Chiesa celeste, mentre prega per quella terrena, e in particolare per tutti coloro che si sono raccomandati alle sue preghiere, come pure per il benessere di tutta la Chiesa Cattolica. Poi, pregando per tutti i fedeli, il sacerdote chiede che il Signore conceda a lui e a tutti gioia con pace, l’emendamento della vita, uno spazio di vera penitenza, la grazia e il conforto dello Spirito Santo e la perseveranza nelle buone opere.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><strong>4. La Gratiarum Actio post Missam</strong></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">4.1. Il corpo di testi che forma il ringraziamento dopo la Messa dimostra amore, umiltà e fede che si esaltano nel dono sublime della Santissima Eucaristia. Il Missale Romanum del 2002 contiene la Preghiera Universale attribuita a papa Clemente XI e l’Ave Maria. Inoltre, in comune con il Messale del 1962, contiente la Preghiera di san Tommaso d’Aquino; le Aspirazioni al Santissimo Redentore o Anima Christi; l’Offerta di sé o Suscipe; la Preghiera davanti a N.S. Gesù Cristo Crocifisso o En Ego; e la Preghiera alla Beata Vergine Maria. A questi testi nel Messale del 1962 venivano annesse indulgenze dai papi Pio X, XI e XII, mentre alcuni testi del Missale Romanum del 2002 sono stati inclusi anche nell’Enchiridion delle Indulgenze. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">4.2. Nel Messale del 1962, un’antifona precede il Benedicite (cf. Dn 3,56-58) e il Salmo 150. Osservando la stessa struttura della Preparazione alla Messa, il Kyrie eleison e alcuni versetti aprono la strada ad alcune collette. La prima di esse prega che, come i tre giovani furono tratti illesi dalle fiamme, così possano i servi del Signore evitare le ferite del peccato. La seconda colletta domanda che le opere buone che Dio ha iniziato nei suoi servi possano essere portate a compimento, mentre la terza, che ha tema simile alla prima, è una preghiera a san Lorenzo, diacono e martire, che fu trovato vincitore nella sofferenza. Le devozioni che il sacerdote può recitare pro opportunitate posseggono espressioni pari alle richieste di protezione nel nostro viaggio verso il cielo. Dopo la Preghiera di san Tommaso ce n’è un’altra (alia oratio) e l’inno metrico Adoro Te è seguito dall’amata orazione dell’Anima Christi. Il Suscipe e l’En Ego precedono un’altra preghiera che chiede che la Passione di Cristo sia la forza del sacerdote, la sua difesa e gloria eterna. Prima delle preghiere a san Giuseppe ed al santo in onore del quale è stata celebrata la Messa, la Preghiera alla Beata Vergine Maria offre Gesù, che è stato ricevuto nella Santissima Eucaristia, alla Vergine Madre, perché Ella possa rioffrirlo nel supremo atto di adorazione (latreia), o culto perfetto, alla Santissima Trinità.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><strong>5. Conclusione</strong><br />
L’Ordinamento Generale del Messale Romano stabilisce: «È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o Cena del Signore, sia ordinata in modo tale che i sacri ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua Passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima Sposa». La preparazione del sacerdote alla Messa e l’atto di ringraziamento successivo si completano a vicenda. Essi nutrono la riverenza nei cuori e nelle menti dei fedeli che sono aiutati a partecipare con maggiore intensità alla liturgia celebrata da un sacerdote che ha beneficiato dell’opportunità di raccogliersi. Ciò che incoraggia la preparazione previa promuove anche il ringraziamento successivo alla Messa. Entrambi guidano continuamente la Chiesa verso e dal Sacrificio eucaristico che celebra e rende presente i frutti del mistero pasquale finché Cristo ritorni alla fine dei tempi.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-60234553983931887502010-06-09T16:04:00.002+02:002010-06-09T16:14:20.070+02:00LA LITURGIA DI BENEDETTO XVI SECONDO GUIDO MARINI, MAESTRO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"></div><br />
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL9tG2z5prunX053chG1tQxfdHG47KNUJu7J7QYDa2CoY4XLVgDXqEzd3CYQH963jGWBJvjkaWt70yjiHqmN9j7GN4HnJw-dAlePzJD8QUydaN3aYeY83sFxU7Cu53mrULNjt4xwiwOw/s1600/20080404_marini_12a.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qu="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL9tG2z5prunX053chG1tQxfdHG47KNUJu7J7QYDa2CoY4XLVgDXqEzd3CYQH963jGWBJvjkaWt70yjiHqmN9j7GN4HnJw-dAlePzJD8QUydaN3aYeY83sFxU7Cu53mrULNjt4xwiwOw/s320/20080404_marini_12a.jpg" /></a></div><em><strong>Monsignor Guido Marini ha 45 anni ed è il Maestro delle Cerimonie Pontificie dall'ottobre del 2007. E 'un lavoro delicato tenendo presente che la cura per la liturgia è uno degli elementi centrali del pontificato di Benedetto XVI. </strong></em><br />
<br />
Mons. Guido Marini:<br />
"Credo che l'attenzione del Papa per la liturgia, le sue lezioni in questo ambiente e il suo esempio, aiutare molti sacerdoti e molti cattolici a riscoprire il valore centrale della liturgia per la vita della Chiesa e per la vita di ogni persona." <br />
<br />
<em>Secondo il Maestro delle Cerimonie Pontificie, la liturgia non è un'area riservata solo agli esperti. Ma egli osserva che i cattolici hanno bisogno di aiuto per comprendere appieno il significato dei simboli liturgici e gesti. </em><br />
<br />
Mons. Guido Marini:<br />
"La liturgia ha una dimensione popolare che dovrebbe essere mantenuta, perché attraverso la liturgia ci troviamo con il mistero di Dio. C'è il mistero della salvezza che si è fatto reale per la vita di ogni persona. Per questo è importante preparare le persone in modo che possano leggere i gesti e simboli della liturgia". <br />
<br />
<em>Negli ultimi anni, Benedetto XVI ha riportato alcuni elementi della tradizione liturgica, che sono stati utilizzati di rado. Per esempio, la presenza del crocifisso al centro dell'altare o ricevere la comunione in ginocchio. Sono gesti il Papa ha spiegato come la cosiddetta "ermeneutica della continuità".</em> <br />
<br />
Mons. Guido Marini:<br />
"L'ermeneutica della continuità sottolinea che nella vita della Chiesa c'è una autentica crescita nel modo in cui essi non tagliare le radici in modo che questo sviluppo comprende la ricchezza della sua storia e tradizione." <br />
<br />
<em>Dice che per ora non è previsto che il Papa celebrerà una messa secondo il rito prima del Concilio Vaticano II.</em> <br />
<em>Monsignor Marini riceve regolarmente le istruzioni del papa, ma l'ufficio delle cerimonie liturgiche propone anche elementi per ogni celebrazione. </em><br />
<br />
Mons. Guido Marini:<br />
"Oltre a mettere in pratica le indicazioni del papa, suggeriamo alcuni elementi liturgici. E 'da dire, che in ogni cerimonia ci sono indicazioni del Santo Padre e alcuni suggerimenti presentati dal nostro Ufficio". <br />
<br />
In ogni caso, poiché il papa ha scritto molte opere sulla liturgia, a suo tempo da cardinale, per l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche, è molto facile sapere ciò che il Papa si aspetta da ogni celebrazione.<br />
In altre parole, la celebrazione Eucaristica aiuta ad avvicinarsi al mistero di Dio. <br />
<br />
<div align="center"><a href="http://www.youtube.com/watch?v=dS3oS_oN9uk&feature=player_embedded#!"><strong><span style="color: red; font-size: large;">Clicca qui per vedere il video in lingua inglese!</span></strong></a><br />
<br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-57943020646465560332010-06-08T23:28:00.000+02:002010-06-08T23:28:08.866+02:00UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SANTO PADRE: INDICAZIONI PER LA SOLENNE CHIUSURA DELL'ANNO SACERDOTALE<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="http://www.parrocchie.it/nardo/sangerardomaiella/Immagini/calice%20Curato%20d%27Ars.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" qu="true" src="http://www.parrocchie.it/nardo/sangerardomaiella/Immagini/calice%20Curato%20d%27Ars.jpg" width="150" /></a>Benedetto XVI celebrerà la messa di chiusura dell'Anno sacerdotale - in programma venerdì mattina, 11 giugno, in piazza San Pietro - con il calice usato da san Giovanni Maria Vianney, che si conserva nella parrocchia del curato d'Ars. Lo riferisce il maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini, anticipando che sarà l'eucaristia con il maggior numero di concelebranti - ne sono attesi quindicimila - mai avvenuta a Roma. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"></div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">A motivo della straordinarietà della circostanza, la celebrazione, prevede anche altre particolarità. Anzitutto il rito dell'aspersione con l'acqua benedetta, come atto penitenziale: quattro cardinali concelebranti si uniranno al Papa per aspergere l'assemblea. Si è pensato a questo rito - spiega monsignor Marini - considerando la solennità del Sacro Cuore e il riferimento al sangue e all'acqua sgorgati dal cuore del Signore per la salvezza del mondo, ma anche per riprendere il tema della purificazione, sul quale in diverse circostanze il Pontefice è ritornato di recente. </div><br />
In secondo luogo, dopo l'omelia i presbiteri rinnoveranno le promesse sacerdotali, come nel giorno del Giovedì Santo alla messa crismale. Inoltre, al termine della celebrazione, prima della benedizione conclusiva, il Papa rinnoverà l'atto di affidamento e di consacrazione dei sacerdoti alla Vergine Maria, secondo la formula usata in occasione del recente pellegrinaggio a Fátima. L'atto avverrà davanti all'originale della Madonna Salus populi Romani, a motivo del significato particolare che tale immagine mariana ha in Roma. Quarta e ultima particolarità: un grande arazzo con l'immagine del santo curato d'Ars sarà collocato alla loggia centrale della Basilica. San Giovanni Maria Vianney è stato al centro dell'Anno sacerdotale e in questa occasione sarà proclamato da Benedetto XVI patrono di tutti i presbiteri. <br />
<br />
In preparazione alla messa conclusiva, la sera di giovedì 10, con inizio alle 21.30, il Pontefice presiederà la veglia di preghiera, che sarà preceduta da un'ora di meditazioni e riflessioni curata dalla Congregazione per il Clero. Il programma prevede l'arrivo in papamobile di Benedetto XVI, accolto dal canto del Tu es Petrus e dal benvenuto del cardinale Hummes, prefetto del dicastero per il Clero. Il saluto liturgico del Papa con la successiva orazione e la lettura di una pagina evangelica introdurranno le domande da parte di cinque sacerdoti, alle quali si alterneranno le risposte di Benedetto XVI. Al canto del Pater noster seguirà poi la processione con il Santissimo Sacramento, che accederà in piazza dal portone di Bronzo della basilica Vaticana. <br />
<br />
Il baldacchino processionale - preceduto da due guardie svizzere - viene retto da otto uomini dell'associazione Santi Pietro e Paolo, mentre dodici studenti universitari portano le torce. Il servizio liturgico è affidato al Pontificio Collegio Scozzese. <br />
<br />
Dopo l'esposizione del Santissimo e un momento di adorazione silenziosa, il Papa reciterà la preghiera dell'Anno sacerdotale. <br />
<br />
Infine l'inno Tantum ergo precederà la benedizione eucaristica seguita dal canto conclusivo Salve Regina che accompagnerà l'uscita del Pontefice, intorno alle 22.30, attraverso la porta centrale della basilica. <br />
<br />
Venerdì mattina, alle 10, la messa, alla quale è prevista una partecipazione significativa anche da parte dei fedeli. Per questo si è disposto che circa quattrocento tra diaconi e sacerdoti, provvedano alla distribuzione della Comunione. In precedenza, dalle ore 9.10 alle ore 9.40, vengono eseguiti canti e brani musicali, al fine di disporre tutti a un clima di raccoglimento e di preghiera. Prima dell'inizio della celebrazione, in varie lingue saranno date indicazioni per aiutare i presenti a una partecipazione il più possibile dignitosa e attenta. <br />
<br />
Benedetto XVI entrerà in piazza con la papamobile unendosi alla processione dei cardinali concelebranti e uscirà dalla piazza, al termine della messa, sempre in papamobile. Svolgeranno il servizio liturgico i seminaristi dei rogazionisti del Cuore di Gesù, considerando il loro specifico carisma vocazionale.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-80559441217093006112010-06-08T13:45:00.003+02:002010-06-08T13:48:08.304+02:00IL SACERDOTE NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL CORPUS DOMINI<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKyqdXfmGavDEbwbWDAPyw4fV4QNQfuk2VQ9uJ83pzF0YJsEZvYRxQpH8bgVw6_nbKd4es3bso-e91O_10iwlgRYRASWmwLuS1x53DQc52DBRDZYOp-sT3TI4cIS5d8PlRYCvnFfFODKNc/s1600/bxvi-calendar-june2010%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qu="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKyqdXfmGavDEbwbWDAPyw4fV4QNQfuk2VQ9uJ83pzF0YJsEZvYRxQpH8bgVw6_nbKd4es3bso-e91O_10iwlgRYRASWmwLuS1x53DQc52DBRDZYOp-sT3TI4cIS5d8PlRYCvnFfFODKNc/s320/bxvi-calendar-june2010%5B1%5D.jpg" /></a></div><br />
La solennità del Corpo e del Sangue del Signore, nelle parole di Papa Benedetto XVI, «ci invita a contemplare il sommo Mistero della nostra fede: la Santissima Eucaristia, reale presenza del Signore Gesù Cristo nel Sacramento dell’altare. Ogni volta che il sacerdote rinnova il Sacrificio eucaristico, nella preghiera di consacrazione ripete: “Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue”. Lo dice prestando la voce, le mani e il cuore a Cristo, che ha voluto restare con noi ed essere il cuore pulsante della Chiesa».<br />
<br />
1. Le origini della festa del Corpus Domini<br />
<br />
Le origini remote della festa del Corpus Domini si trovano nello sviluppo del culto dell’Eucaristia nel corso del Medioevo. Le dispute dottrinali fra Pascasio Radberto († 865) e Ratramno di Corbie († 868), e soprattutto fra Berengario di Tours († 1088) e Lanfranco di Pavia († 1089), portarono ad un chiarimento della dottrina sulla presenza reale di Cristo nel Sacramento e, di conseguenza, ad un più sentito e diffuso culto dell’Eucaristia.<br />
<br />
Nel secolo XIII si manifesta un movimento più ampio di devozione eucaristica presso il popolo ed anche fra i teologi, con un forte contributo dato dal nuovo ordine francescano. Il Concilio Lateranense IV (1215), precisando la dottrina della Chiesa con la formula della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ha spinto ad un ulteriore sviluppo del culto eucaristico. Lo stesso Concilio prescrisse l’obbligo della comunione annuale a Pasqua e la custodia dell’Eucaristia in un luogo sicuro. Nella liturgia si diffuse la prassi di elevare l’ostia ed il calice durante la Messa per il desiderio dei fedeli di vedere e di adorare le specie consacrate. <br />
<br />
La solenne celebrazione del Corpus Domini, come la conosciamo anche oggi, è dovuta all’ispirazione della religiosa fiamminga Santa Giuliana di Cornillon (1191-1258). La festa, istituita nella diocesi di Liegi, nell’attuale Belgio, nel 1246, si diffuse rapidamente, grazie anche all’impegno del fiammingo Giacomo Pantaleone di Troyes, in seguito eletto papa col nome di Urbano IV (1261-1264). Egli incluse la festa nel calendario liturgico generale con la Bolla Transiturus de hoc mundo, dell’11 agosto 1264. Tuttavia, a causa di diverse vicende, essa fu celebrata in tutta la Chiesa solo dopo il Concilio di Vienne (1311-1312).<br />
<br />
Secondo la Vita di Santa Giuliana, Cristo stesso le disse il principale motivo per cui desiderava questa nuova festa, cioè per ricordare l’istituzione del Sacramento del suo Corpo e Sangue in maniera particolarmente solenne, il che non era possibile il Giovedì Santo, quando la liturgia è segnata dalla lavanda dei piedi e della Passione del Signore. Tale festa porterà ad un aumento di fede e grazia per i cristiani, che saranno indotti a partecipare con maggiore attenzione a ciò che invece vivono, nei giorni ordinari, con minore devozione o persino con negligenza. <br />
<br />
La festa fu stabilita per il giovedì dopo l’Ottava di Pentecoste, il primo giovedì dopo il Tempo Pasquale, secondo il Calendario liturgico dell’usus antiquior. La festa è così chiaramente legata al Giovedì Santo, ed esprime il suo carattere essenziale: «Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione».<br />
<br />
2. La Messa<br />
<br />
Nonostante qualche dubbio degli storici, è stato confermato dalla ricerca recente che la Messa e l’Ufficio del Corpus Domini sono stati composti da san Tommaso d’Aquino per ordine del papa Urbano IV. La Messa originale è rimasta la stessa nelle varie edizioni del Missale Romanum fino agli anni Cinquanta del secolo XX, con l’eccezione del Kyrie tropato (preso da una fonte più antica), che era sparito nel Messale di San Pio V (1570). <br />
Per l’epistola si è scelto il brano dell’apostolo Paolo sull’istituzione dell’Eucaristia (1Cor 11,23-29) in una versione più breve dello stesso testo, utilizzato durante la Messa in cena Domini il Giovedì Santo (1Cor 11,20-32). In questo quadro si inserisce anche il brano evangelico (Gv 6,56-59) dal grande «discorso eucaristico» di Gesù, che segue al miracolo della moltiplicazione dei pani.<br />
Oltre le solite preghiere e antifone, la Messa contiene una lunga sequenza, della penna stessa dell’Aquinate, il Lauda Sion. Questa sequenza è un bell’esempio di come la lex credendi si esprima nella lex orandi, come accenna Benedetto XVI:<br />
<br />
«Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. […] Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1)».<br />
<br />
San Tommaso d’Aquino ha assegnato alla Messa del Corpus Domini il Prefazio della Natività del Signore: «Nel mistero dei Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili». Questa scelta è significativa, in quanto stabilisce un’intima connessione fra il mistero dell’Incarnazione e quello della Transustanziazione: nel Sacramento è realmente e sostanzialmente presente il Cristo vivente, Corpo, Sangue, Anima e Divinità.<br />
<br />
Nel Missale Romanum del 1962, attualmente normativo per la forma straordinaria del Rito Romano, il Prefazio della Natività è stato sostituito con quello Comune. Tuttavia, nel 1962, quattro nuovi prefazi sono stati approvati per alcune diocesi, tra cui un Prefazio del Santissimo Sacramento utilizzabile anche per il Corpus Domini.<br />
<br />
Nel Missale Romanum del 1970 e nelle successive edizioni tipiche, i testi eucologici della festa sono rimasti essenzialmente gli stessi, mentre è stato assegnato il nuovo Prefazio della Santissima Eucaristia. La differenza principale è l’arricchimento delle letture secondo il ciclo dei tre anni (Anno A: Dt 8,2-3.14b-16a, 1Cor 10,16-17, Gv 6,51-58; Anno B: Es 24,3-8, Ebr 9,11-15, Mc 14,12-16.22-26; Anno C: Gen 14,18-20, 1Cor 11,23-26, Lc 9,11-17).<br />
3. La Processione<br />
In tutto il mondo, il Corpus Domini è segnato dalla solenne processione eucaristica che segue alla Messa. Anche a questo riguardo, la festa riprende la celebrazione del Giovedì Santo, che termina con la processione eucaristica all’altare della reposizione. Va rilevato, però, che la processione del Giovedì Santo ricorda l’esodo del Signore dal Cenacolo alla solitudine del Monte degli Ulivi, dove fu tradito da Giuda, e quindi ha in sé un aspetto oscuro e triste: è la notte che conduce alla Passione del Venerdì Santo. Invece, la processione eucaristica del Corpus Domini si svolge nella gioiosa luce della Risurrezione. Nel portare il Cristo Sacramentato attraverso città e villaggi, sui prati e sui laghi, la Chiesa opera «quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cf. Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero»<br />
Nella solenne celebrazione del Corpus Domini in innumerevoli parrocchie e comunità cattoliche, si esprime la gioia nella fede, sulla quale Benedetto XVI, come teologo e come Papa, ha spesso riflettuto: la forza con la quale la verità della fede cristiana si fa strada deve essere la gioia con cui essa si manifesta. Questa gioia è una gioia pasquale, radicata nel fatto che Cristo è risorto dai morti. La Chiesa ha bisogno di sfruttare tutto lo splendore del bello, per esprimere questa gioia suprema.<br />
Non bisogna stancarsi mai di insistere sulla priorità del culto divino, superando così una stretta interpretazione legalistica e moralistica del cristianesimo. Benedetto XVI dà l’esempio, perché è profondamente convinto che «il diritto e la morale non stanno insieme se non sono ancorati nel centro liturgico e non traggono da esso ispirazione». L’adorazione, che si esprime in modo del tutto particolare nella Messa e nella Processione del Corpus Domini, è costitutiva del rapporto dell’uomo con Dio e della giusta esistenza umana nel mondo.<br />
In questo Anno Sacerdotale, i ministri del Santissimo Sacramento hanno una ragione in più per tornare a meditare sull’incomparabile dignità, cui sono stati chiamati per divina vocazione. L’essere sacerdoti ordinati ha un riferimento primario ed insostituibile al potere di consacrare l’Eucaristia. Ai vari motivi teologici che fanno da sfondo alla gioia di ogni cristiano dinanzi al Dono eucaristico, il sacerdote aggiunge anche la sua conformazione – di certo umanamente immeritata – al Cristo Sacerdote, che si rende presente realmente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Auguriamo pertanto ai sacerdoti di tutto il mondo di vivere la processione del Corpus Domini come momento di adorazione, contemplazione e riflessione sul grande Mistero che si rende sempre di nuovo presente nel mondo attraverso le loro mani, unte un giorno con il sacro crisma per poter consacrare e toccare il Corpo sacramentale di Cristo.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-67548105732803390452010-05-31T22:55:00.002+02:002010-06-01T13:00:45.876+02:00ANCHE LA TV TRASH PREFERISCE LA TALARELa talare, da sempre, rappresenta il distintivo per eccellenza del clero. La società dell'immagine, in cui viviamo, propone ad ogni classe il proprio abito, contrariamente a ciò all'interno della Chiesa Cattolica una gran parte di sacerdoti ha lasciato (o peggio non ha mai posseduto) la veste tipica del clero romano, ossia la talare. <br />
Il cardinal Siri, una delle figure ecclesiastiche più importanti del '900, così scriveva ai preti della sua diocesi: “L'abito condiziona fortemente e talvolta forgia addirittura la psicologia di chi lo porta.L'abbigliamento, infatti, impegna per la vestizione, per la sua conservazione, per la sostituzione. È la prima cosa che si vede, l'ultima che si depone. Esso ricorda impegni, appartenenze, decoro, colleganze, spirito di corpo, dignità!” <br />
<br />
Navigando sul web, abbiamo trovato, un video che potremmo definire una confessione-musical in lingua napoletana (occhio ai sottotitoli). La cosa più interessante non sono certamente le qualità canone della cantate, bensì un forte richiamo alla tradizione Cattolica: il sacramento della Riconciliazione è amministrato in ginocchio, cioè secondo la prassi storicamente e teologicamente più adatta; le due suore indossano delle vesti monacali, oramai cadute in disuso, che si vedono soltanto nelle immaginette di qualche venerabile fondatrice; infine, come ciliegina sulla torta, il sacerdote indossa la talare (per l'acconciatura del Sacro Ministro è meglio sorvolare, ricordiamo che è soltanto un attore). <br />
<br />
Da ciò, deduciamo, che i fedeli, in questi caso il regista, immaginano il prete come quell'uomo in talare che confessa interrottamente nel confessionile, per la santificazione dei suoi figlioli. <br />
<br />
<div style="text-align: center;"><a href="http://dailymotion.virgilio.it/video/x7bj7u_cinzia-oscar-gesu-giuseppe-sant-ann_music"><span style="color: red; font-size: large;">Buona visione!</span></a></div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;"><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-24084059423974117912010-05-31T22:41:00.000+02:002010-05-31T22:41:37.926+02:00LA COMUNIONE RICEVUTA SULLA LINGUA E IN GINOCCHIO<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="http://www.vatican.va/news_services/liturgy/details/img/comunione-in-ginocchio.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" gu="true" height="200" src="http://www.vatican.va/news_services/liturgy/details/img/comunione-in-ginocchio.jpg" width="135" /></a>La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano. La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi. Sin dall’epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua. Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall’altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">All’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d’Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3).</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l’Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636). Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d’Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio. Una celebre espressione di sant’Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">In questa prospettiva, l’allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86). Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666).</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61:</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT51ITkbuytrs89iayCjePuPvvSDCrNfKi_2G0gx1FVKQdNG98Cqe3BOiWJ8b6hc9b8htuVGtm_oUC_fZB3texTe_F4XMzVRbvihsm-892H12vNJpe5pVFyrLUQJQpe8_hxKjECL1ehmQ/s1600/in+ginocchio.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; cssfloat: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" gu="true" height="133" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT51ITkbuytrs89iayCjePuPvvSDCrNfKi_2G0gx1FVKQdNG98Cqe3BOiWJ8b6hc9b8htuVGtm_oUC_fZB3texTe_F4XMzVRbvihsm-892H12vNJpe5pVFyrLUQJQpe8_hxKjECL1ehmQ/s200/in+ginocchio.jpg" width="200" /></a></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«Dando all’Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo “tesoro”. [...] Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">In continuità con l’insegnamento del suo Predecessore, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a distribuire ai fedeli il Corpo del Signore, direttamente sulla lingua e stando inginocchiati.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-71991065870202307022010-05-26T16:30:00.002+02:002010-06-08T13:50:54.758+02:00IL SACERDOTE NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA DI PENTECOSTE<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiG9gg5i-lQ5_l_t3nAhsKwlrtB-X4Jdrmlnt80P7dclMNMKnZ2Zu71mdHcUzriqI0qgluWfxi4Of8k11OxxZWsYTlSTqXujWUs18lAaxXMdWCcxvMYcALuYwkFuCUSEIMZUazlh9mbUSIX/s1600/pentecoste_5%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" gu="true" height="148" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiG9gg5i-lQ5_l_t3nAhsKwlrtB-X4Jdrmlnt80P7dclMNMKnZ2Zu71mdHcUzriqI0qgluWfxi4Of8k11OxxZWsYTlSTqXujWUs18lAaxXMdWCcxvMYcALuYwkFuCUSEIMZUazlh9mbUSIX/s200/pentecoste_5%5B1%5D.jpg" width="200" /></a>La Pentecoste fa della Chiesa l’antitesi della torre di Babele. Ne fa la città dove, come recita l’orazione colletta della Messa in vigilia, «i popoli dispersi si raccolgono insieme, e le diverse lingue si uniscono a proclamare» con una sola fede la gloria del Signore. Questo è stato possibile dall’inizio, perché ciascuno ascoltava gli Apostoli predicare nella propria lingua. La predicazione del Vangelo precede e accompagna la sua stesura scritta: quindi, dall’inizio della Chiesa, è il Magistero apostolico a rendere comprensibile la Scrittura.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">1. Alla luce di ciò, è necessario innanzitutto guardarsi da giudizi sommari sulla storia della Chiesa, quale quello che afferma che i cattolici dei secoli a noi più vicini ritenessero la lettura della Bibbia non necessaria alla salvezza, e dunque che fosse meglio trasmettere ai fedeli il messaggio biblico attraverso le «vie indirette» della predicazione e del catechismo. Dinanzi a giudizi simili, basta ricordare che il ministro della regina Candace, che pur leggeva Isaia in una lingua a lui familiare, non capiva il senso della Scrittura: «Come posso comprendere – osservò al diacono Filippo – se qualcuno non mi guida?» (At 8,31).</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Gli Apostoli hanno esercitato la «mediazione» sacerdotale con la celebrazione del Sacrificio eucaristico e, prima ancora, «spezzando» la parola, cosa che avviene con la predicazione, la catechesi, l’omiletica. Solo un pregiudizio teologico può ritenere tali opere apostoliche delle «vie indirette» di accesso alla Scrittura. Così è Pietro che, ricevuto lo Spirito, prende la parola per spiegare quanto accaduto nel giorno di Pentecoste: questo fatto segna l’inizio del Magistero della Chiesa, senza il quale la Parola divina resta sigillata, quindi incomprensibile o soggetta all’interpretazione soggettiva.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Le «Profezie», ossia le letture della vigilia di Pentecoste nella forma straordinaria del Rito Romano, e nella Messa del sabato sera in quella ordinaria, illustrano l’«illuminazione» che compie lo Spirito nei cuori: certo, tale illuminazione può avvenire leggendo; ma, la Tradizione insegna che è da privilegiare l’ascolto. I liturgisti odierni sono tendenzialmente concordi nel confermare che l’atteggiamento più adeguato da parte dei fedeli durante la Liturgia della Parola è proprio quello dell’ascolto.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">2. Altra tendenza diffusa ai nostri giorni consiste nel paragonare la vigilia di Pentecoste a quella pasquale. Vi sono, è chiaro, somiglianze, ma non vanno attutite le differenze. Le letture della Solennità ripropongono la doppia effusione dello Spirito: nel Vangelo di Giovanni, quella procedente dal Figlio Gesù, apparso nel cenacolo, per la remissione dei peccati; l’altra, degli Atti, per l’espansione missionaria e l’interiorizzazione del mistero pasquale. Tuttavia, la veglia della risurrezione del Signore è all’origine dell’effusione dello Spirito, che invece nella domenica di Pentecoste dà compimento alla Pasqua, a favore del corpo di Cristo che è la Chiesa. Infatti, il cero pasquale viene spento, a simboleggiare la conclusione della presenza visibile del Signore e l’inizio di quella invisibile per opera dello Spirito. Questo gesto indica la differenza tra Pasqua e Pentecoste. Anzi, dopo il congedo alleluiatico dei fedeli, il sacerdote celebrante potrebbe spegnere il cero – come previsto nella forma straordinaria già all’Ascensione – e togliere i grani d’incenso che egli stesso aveva infisso nel cero la notte di Pasqua.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">3. Un altro gesto presente nella forma straordinaria è quello della genuflessione dei ministri alle Litanie che precedono l’inizio della Messa della vigilia e alla Sequenza nella Messa del giorno: un parallelo è nel rito della gonuklisía – la genuflessione – nella liturgia bizantina. Non si può ottenere la «discesa» dello Spirito Santo senza aver piegato le ginocchia in adorazione di Colui che, risorto e asceso al Cielo, invia dalla destra del Padre lo Spirito sulla Chiesa. L’iconografia latina rappresenta preferibilmente in tal modo la disposizione degli Apostoli con Maria nel cenacolo.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Solo la non conoscenza del background comune a Roma e Bisanzio – la cui evidenza rituale era maggiore prima della riforma liturgica postconciliare – può far ritenere la predicazione e la raffigurazione, come è stato scritto recentemente, «una pietà sentimentale dominata dalla contemplazione dei “misteri” della vita di Cristo». </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Lo Spirito non vuole essere adorato, diceva per paradosso von Balthasar, ma vuole adorare in noi il Figlio Signore e, per Lui, il Padre: egli è «rivolto» verso il Signore, egli stesso è Signore. Tale adorazione appare come la conclusione logica del Mistero pasquale: Spiritus Domini replevit orbem terrarum, come canta l’antifona d’introito del giorno di Pentecoste. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">4. Come si fa ad immaginare la discontinuità nella Tradizione della Chiesa, contrapponendo il nutrimento all’edificazione della fede, ritenendo che la predicazione di un tempo mirasse solo a quest’ultima? Gli amboni, i pergami e i pulpiti delle nostre cattedrali e chiese attestano che la parola di Dio è stata sempre al centro della vita ecclesiale, anche se noi chierici e laici non sempre abbiamo saputo trarne tutto il profitto possibile. Anzi, il fatto che tali strutture liturgiche fossero collocate in mezzo all’assemblea, ricorda la preoccupazione di istruire catecumeni e fedeli al fine di accedere ai sacramenti. Sebbene il Vaticano II abbia certamente promosso ulteriormente l’uso della Sacra Scrittura nella liturgia, constatiamo che finora il desiderio del concilio rimane come sospeso: basti prendere atto delle «lamentazioni» di catecheti e liturgisti sull’odierna realtà dell’omiletica e della catechesi, malgrado la riforma postconciliare. Dunque, bisogna piuttosto aver fede nello Spirito che in ogni tempo rinnova la faccia della terra! Nemmeno noi del terzo millennio siamo immuni da arretramenti spirituali.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">5. Il sacerdote nella Pentecoste deve proclamare che «oggi» – come canta il Prefazio – si è compiuto il Mistero pasquale a Gerusalemme con la nascita della Chiesa universale, come ebbe a ricordare il Santo Padre nell’omelia di Pentecoste 2008, riprendendo l’insegnamento della Lettera Communionis notio inviata da lui – all’epoca prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – ai vescovi della Chiesa Cattolica. La Chiesa è nata universale in un luogo, non particolare o locale, ma una e cattolica, santa e apostolica. È a tale appartenenza che i sacerdoti devono e si devono educare, prima che alla «diocesanità», la quale ha certamente valore, ma se innestata innanzitutto nella «cattolicità». Ne è sintomo l’istintivo immediato riferimento che i fedeli cattolici sentono verso il Papa, quale principio interiore di unità della Chiesa. L’autorità del Papa non è mediata da altra istanza, bensì è l’autorità dei vescovi che si esercita solo in comunione con quella del Vescovo di Roma. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">6. Ne è segno, nella liturgia, l’uso della lingua latina, la quale, proprio perché superiore agli idiomi locali, ricorda visibilmente il mistero dell’unica lingua di Pentecoste, contrapposta alla confusione babelica. Dice il Prefazio: «Hai effuso lo Spirito Santo […] che ha riunito i linguaggi della famiglia umana nella professione dell’unica fede». Si rifletta sul fatto che il culto postula anche il linguaggio sacro, che col suo vocabolario costituisce una via specifica per organizzare l’esperienza religiosa. Mentre il razionalismo tende a rigettarlo, la fede nel soprannaturale porta necessariamente ad adottare un linguaggio sacro nel culto. Esso aiuta a preservare la Tradizione e l’ortodossia della fede – come attestano l’immutata presenza del Kyrie, degli Amen, degli Alleluia e dell’Osanna –; mentre volentieri vanno tradotte in lingua corrente le letture, ove è prevalente l’esigenza di comunicazione. Ritenere però che la lettura delle Scritture in latino ostacolerebbe l’efficacia della Parola di Dio nel cuore del credente, significa negare tutta la storia di fede e di santità di duemila anni.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">La lingua latina serve ad esprimere meglio l’unità e l’universalità della Chiesa (cf. Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, n. 62). Possiamo pensare che la cosiddetta «Messa internazionale», celebrata in più lingue, ove a turno solo una parte di fedeli comprende ciò che si dice (e gli altri, di conseguenza, non comprendono), esprima meglio l’universalità della Chiesa rispetto alla Messa in latino? D’altro canto, la lingua è parte di un ampio sforzo per evangelizzare la cultura, che proprio la Pentecoste ha inaugurato. La lingua latina è fattore di unità: essa ha posto le basi della civiltà cristiana, è giunta fino a noi e continuerà a svilupparsi.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">7. Riteniamo che nella celebrazione di Pentecoste il sacerdote abbia la possibilità di istruire i fedeli su questi punti che abbiamo seppur sommariamente esposto: ne dipende la comprensione della cattolicità della Chiesa. Proprio a Gerusalemme il vescovo Cirillo puntualizzava: «Non domandare dove sia la Chiesa, ma specifica bene e chiedi dove sia la Chiesa Cattolica» (PG 33,1048). </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-35309973564270616432010-05-20T23:37:00.005+02:002010-05-21T00:11:50.705+02:00IL NOSTRO FANS' CLUB GIRA IL MONDO<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEoa0qA8JyUiYSQK2yTWmrBSQ0XyAuHs0HA8VtWtf8SM1DjBLSrejTKSluW_BkSMMdzEc0rlo6n4XfIZP82QBIRb7ShhnXNT2xVwF53r8TRyhR-HIvMQXS_rwBuJ9m7JBEjTxrFNBGg3lv/s1600/com0804j%5B1%5D.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" gu="true" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEoa0qA8JyUiYSQK2yTWmrBSQ0XyAuHs0HA8VtWtf8SM1DjBLSrejTKSluW_BkSMMdzEc0rlo6n4XfIZP82QBIRb7ShhnXNT2xVwF53r8TRyhR-HIvMQXS_rwBuJ9m7JBEjTxrFNBGg3lv/s200/com0804j%5B1%5D.jpg" width="126" /></a></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
In seguito alla pubblicazione delle foto della messa solenne celebrata da mons. Guido Marini, nella basilica di santa Maria Maggiore a Roma, con grande godimento notiamo che blog famosissimi come <a href="http://messainlatino.it/">Messainlatino.it</a> e <a href="http://www.newliturgicalmovement.org/2010/05/msgr-marini-celebrated-ad-orientem-in.html">newliturgicalmovement</a> oppure il magazine tedesco <a href="http://www.katholisches.info/?p=8488">katholisches</a>, hanno tratto dal nostro giovane blog le splendide immagini scattate durante il Santo Sacrificio della Croce nella solennità dell'Ascensione.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Ringraziamo tutti coloro che diffondono le nostre foto, in questo modo "pubbliciziamo" la vera osservanza alla <em>Sacrosantum Concilium </em>e all'ermeneutica della continuità liturgica.<br />
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Raccomandiamo di citare sempre la fonte delle immagini!</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><strong><span style="color: red;">La parola al maestro:</span></strong></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">L’abito proprio della liturgia è un abito di santità: vi trova espressione, infatti, la santità di Dio. A quella santità siamo chiamati a<em> rivolgerci</em>, di quella santità siamo chiamati a <em>rivestirci,</em> realizzando così la pienezza della partecipazione. </div>(RADICI CRISTIANE)Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-91282136985184103352010-05-18T20:55:00.005+02:002010-05-18T21:38:00.530+02:00Solennità dell'ascenzione "coram Deo" con don Guido<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
Pubblichiamo, con grande goia, le foto della messa celebrata da mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Santo Padre, nella basilica di santa Maria Maggiore il 16 maggio, solennità dell'Ascensione di N.S. Gesu' Cristo. </div></div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Al Santo Sacrificio, celebrato secondo il messale di Paolo VI, hanno partecipato alcuni fedeli della diocesi di Genova e dell'America Latina.</div></div><div align="left" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div class="" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: left;">Buona visione!<br />
<br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQyNnUsxI/AAAAAAAAAXw/xgK00QZhcmI/s1600/01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQyNnUsxI/AAAAAAAAAXw/xgK00QZhcmI/s320/01.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ1PLU0PI/AAAAAAAAAX4/SM-SdFldZ7Y/s1600/02.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ1PLU0PI/AAAAAAAAAX4/SM-SdFldZ7Y/s320/02.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ6CaUb2I/AAAAAAAAAYA/IbVjuGKF6GM/s1600/03.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ6CaUb2I/AAAAAAAAAYA/IbVjuGKF6GM/s320/03.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ9FAnEcI/AAAAAAAAAYI/X4lMgxw2T34/s1600/04.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQ9FAnEcI/AAAAAAAAAYI/X4lMgxw2T34/s320/04.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KRAtsAqFI/AAAAAAAAAYQ/sJrJCwGhVBU/s1600/05.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KRAtsAqFI/AAAAAAAAAYQ/sJrJCwGhVBU/s320/05.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KREjC8BWI/AAAAAAAAAYY/OK4qVLCOHYc/s1600/06.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KREjC8BWI/AAAAAAAAAYY/OK4qVLCOHYc/s320/06.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KRJpP0tRI/AAAAAAAAAYg/evInZix7oWc/s1600/07.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KRJpP0tRI/AAAAAAAAAYg/evInZix7oWc/s320/07.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KROu8HDUI/AAAAAAAAAYo/MgNJTk9fAtM/s1600/08.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KROu8HDUI/AAAAAAAAAYo/MgNJTk9fAtM/s320/08.jpg" wt="true" /></a></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: left;"><span style="color: red;"><strong>La parola al maestro:</strong></span></div><div class="" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: left;"><em>L'ermeneutica della continuità è sempre il criterio esatto per leggere il cammino della Chiesa nel tempo. Ciò vale anche per la liturgia. Come un Papa cita nei suoi documenti i Pontefici che lo hanno preceduto, in modo da indicare la continuità del magistero della Chiesa, così nell'ambito liturgico un Papa usa anche vesti liturgiche e suppellettili sacre dei Pontefici che lo hanno preceduto per indicare la stessa continuità anche nella lex orandi. Vorrei però far notare che il Papa non usa sempre abiti liturgici antichi. Ne indossa spesso di moderni. L'importante non è tanto l'antichità o la modernità, quanto la bellezza e la dignità, componenti importanti di ogni celebrazione liturgica.</em></div><div class="" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: left;"><em> </em>L'Osservatore Romano - 26 giugno 2008</div><br />
<br />
<div style="text-align: center;"><em><span style="color: #3d85c6;"><strong>Maria Salus Populi Romani: ora pro nobis!</strong></span></em></div><br />
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQqHcD8WI/AAAAAAAAAXg/XlBivzhPK0s/s1600/001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_9eVZkYaYUns/S_KQqHcD8WI/AAAAAAAAAXg/XlBivzhPK0s/s320/001.jpg" wt="true" /></a></div>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-31257596782426090472010-05-09T15:18:00.001+02:002010-05-09T15:19:29.584+02:00L'INCONTRO DEL SACERDOTE CON MARIA<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"></div><br />
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhH2ckYQcCQGEyVxV4pvNqbGbPhptcbqos9UYBCjU23Aft7s0Hoqtclytfa2em3mcbEqK1CM1DHWBaBMIEyTsMQXoj5rAOGMb3C_K2qF2bVHJe84LhrzIDlAx8ZrnvOPGHFgdeUVWgyDqdH/s1600/a_1112.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="128" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhH2ckYQcCQGEyVxV4pvNqbGbPhptcbqos9UYBCjU23Aft7s0Hoqtclytfa2em3mcbEqK1CM1DHWBaBMIEyTsMQXoj5rAOGMb3C_K2qF2bVHJe84LhrzIDlAx8ZrnvOPGHFgdeUVWgyDqdH/s200/a_1112.jpg" tt="true" width="200" /></a></div>1. Eucaristia, Chiesa e Maria: in relazione al sacerdote<br />
<br />
«Se vogliamo riscoprire in tutta la sua ricchezza il rapporto intimo che lega Chiesa ed Eucaristia, non possiamo dimenticare Maria, Madre e modello della Chiesa»[1]. Queste parole del venerabile Giovanni Paolo II costituiscono una traccia adeguata per introdurci nel tema che cerchiamo di sviluppare brevemente con questo articolo: L'incontro del sacerdote con Maria nella Celebrazione eucaristica. <br />
<br />
Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del Signore, «si realizza l'opera della nostra redenzione»[2] e per questo si può affermare che «c'è un influsso causale dell'Eucaristia alle origini stesse della Chiesa»[3]. Nell'Eucaristia, Cristo si consegna a noi, edificandoci continuamente come suo Corpo. «Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l'Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell'Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della croce»[4]. L'Eucaristia precede cronologicamente ed ontologicamente la Chiesa e in questo modo si comprova di nuovo che il Signore ci ha «amato per primo».<br />
<br />
Allo stesso tempo, Gesù ha reso perpetua la sua donazione personale mediante l'istituzione dell'Eucaristia durante l'Ultima Cena. In quell'«ora», Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione. Di qui che possiamo affermare che «in questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del mistero pasquale»[5]. Tutto il Triduum paschale è come incluso, anticipato e «concentrato» per sempre nel Dono eucaristico. Per questo, ogni sacerdote che celebra la Santa Messa, assieme alla comunità che ad essa partecipa, ritorna all'«ora» della croce e della glorificazione, torna spiritualmente al luogo e alla hora sancta della redenzione[6]. Nell'Eucaristia, ci addentriamo nell'atto oblativo di Gesù e così, partecipando alla sua offerta, al suo Corpo e al suo Sangue, ci uniamo a Dio[7].<br />
<br />
In questo «memoriale» del Calvario è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua Passione e morte. «Pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore»[8]. In ogni celebrazione della Santa Messa, noi riascoltiamo quell'«Ecco tuo figlio!» detto dal Figlio a sua Madre, mentre Egli stesso ripete a noi: «Ecco tua Madre!» (Gv 19,26-27). <br />
<br />
«Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell'intera propria esistenza - non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l'orizzonte del proprio apostolato»[9]. Per questo «Vivere nell'Eucaristia il memoriale della morte di Cristo implica anche ricevere continuamente questo dono. [...] Maria è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre Celebrazioni eucaristiche. Se Chiesa ed Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia»[10].<br />
<br />
La raccomandazione della celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse partecipazione di fedeli, deriva da una parte dal valore obiettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; «e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»[11]. In questo percorso di conformazione e di trasformazione, l'incontro del sacerdote con Maria nella Santa Messa riveste un'importanza particolare. In realtà, «per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre»[12].<br />
<br />
2. Nella Messa di Paolo VI<br />
<br />
Nel Messale Romano nella sua editio typica tertia, espressione ordinaria della Lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino, la presenza materna di Maria si sperimenta in due momenti significativi della Celebrazione eucaristica: il Confiteor dell'atto penitenziale e la Preghiera eucaristica.<br />
<br />
2.1. Il Confiteor. Nel cammino verso il Signore, ci rendiamo conto della nostra indegnità. L'uomo dinanzi a Dio si avverte peccatore e dalle sue labbra sorge spontanea la confessione della propria miseria. Si rende necessario chiedere all'interno della celebrazione che Dio stesso ci trasformi e che accetti di farci partecipare a quella actio Dei che costituisce la liturgia. Di fatto, lo spirito di continua conversione è una di quelle condizioni personali che rendono possibile la actuosa participatio dei fedeli e dello stesso sacerdote celebrante. «Non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla Liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita [...]. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione»[13].<br />
<br />
L'atto penitenziale, che «si compie attraverso la formula di confessione generale di tutta la comunità»[14], ci aiuta a conformarci ai sentimenti di Cristo e a porre i mezzi perché si realizzi lo «stare con Dio»; mentre ci «forza» ad uscire da noi stessi, ci spinge a pregare con e per gli altri: non siamo soli. Grazie alla comunione dei santi, aiutiamo e ci sentiamo aiutati e sostenuti gli uni dagli altri. È in questo contesto che incontriamo una delle modalità dell'orazione liturgica mariana, la quale si presenta come ricordo dell'intercessione di Maria nel Confiteor. Come ricordava Paolo VI, «il popolo di Dio la invoca come Consolatrice degli afflitti, Salute degli infermi, Rifugio dei peccatori, per ottenere consolazione nella tribolazione, sollievo nella malattia, forza liberatrice dal peccato; perché Lei, libera da ogni peccato, conduce i suoi figli a questo: a vincere con energica determinazione il peccato»[15].<br />
<br />
Il Confiteor, genuina formula di confessione, si incontra in diverse redazioni, a partire dal sec. IX, in ambito monastico. Di lì passerà alle chiese del clero secolare e lo troviamo come elemento fisso nell'Ordo della Curia papale anteriore al 1227[16]:<br />
<br />
«Ideo precor beatam Mariam semper Virginem...». <br />
<br />
«Per questo prego la Beata Maria, sempre Vergine...». <br />
<br />
Maria, in comunione con Cristo unico Mediatore, prega il Padre per tutti i fedeli, suoi figli. Come ricorda il concilio Vaticano II: «La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita»[17].<br />
<br />
Maria «si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata»[18]. Simile cura Ella la dimostra particolarmente per i sacerdoti. «Maria li predilige infatti per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch'essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo»[19]. Così si spiega che il concilio Vaticano II affermi: «Essa è la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, il sostegno del loro ministero: essi [i presbiteri] devono quindi venerarla e amarla con devozione e culto filiale»[20].<br />
<br />
2.2. La Preghiera eucaristica. Per quanto riguarda la memoria di Maria nelle preghiere eucaristiche del Messale Romano, «questa memoria quotidiana, per la sua collocazione al centro del santo Sacrificio, deve essere ritenuta come una forma particolarmente espressiva del culto che la Chiesa rende alla Benedetta dall'Altissimo (cf. Lc 1,28)»[21]. <br />
<br />
Questo ricordo di Maria Santissima si manifesta in due modi: la sua presenza nell'incarnazione e la sua intercessione gloriosa. Circa il primo modo, possiamo ricordare che il «sì» di Maria è la porta per la quale Dio si incarna, entra nel mondo. In questo modo, Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell'incarnazione e pertanto della nostra salvezza. «L'incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall'inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero»[22].<br />
<br />
Così si trova espresso, ad esempio, nel prefazio della Preghiera eucaristica II, che si rifà alla Traditio apostolica, nonché nel Post-sanctus della IV. Le due espressioni sono molto simili:<br />
<br />
«...e lo hai mandato a noi Salvatore e Redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria»(PE II).<br />
<br />
«Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria» (PE IV).<br />
<br />
Nel contesto della Preghiera eucaristica, questa confessione di fede sottolinea la cooperazione di Maria Santissima al mistero dell'incarnazione e il suo legame con Cristo, come pure l'azione dello Spirito Santo. Con essa si intende presentare l'Eucaristia come presenza vera ed autentica del Verbo incarnato che ha sofferto ed è stato glorificato. L'Eucaristia, mentre rimanda alla Passione e risurrezione, sta allo stesso tempo in continuità con l'incarnazione.<br />
<br />
Giovanni Paolo II segnala che «Maria concepì nell'annunciazione il Figlio divino nella verità anche fisica del Corpo e del Sangue, anticipando in sé ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve, nel segno del pane e del vino, il Corpo e il Sangue del Signore»[23]. Maria appare così legata alla relazione «Incarnazione-Eucaristia».<br />
<br />
D'altro canto, la presenza di Maria Santissima nella preghiera eucaristica ci presenta anche la sua intercessione gloriosa. Il ricordo di Lei nella comunione dei santi è elemento tipico del Canone Romano e si ritrova nelle altre preghiere eucaristiche del Messale Romano, in sintonia con le anafore orientali. «La tensione escatologica suscitata dall'Eucaristia esprime e rinsalda la comunione con la Chiesa celeste. Non è un caso che nelle anafore orientali e nelle preghiere eucaristiche latine si ricordi[...] con venerazione la sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo»[24].<br />
<br />
La memoria di Maria nel Canone Romano si arricchì con titoli solenni che ricordano la proclamazione del dogma della maternità divina del concilio di Efeso (431) e con espressioni che probabilmente derivano della omelie dei sommi pontefici[25]. La menzione solenne del Canone Romano recita:<br />
<br />
«... in primis gloriosae semper virginis Mariae Genetricis Dei, et Domini nostri Iesu Christi».<br />
«Veneriamo la memoria, anzitutto, della gloriosa e sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo» (Canone Romano).<br />
Maria Santissima è esaltata con i titoli di gloriosa e semper Virgo, come la chiama sant'Epifanio[26]. D'altra parte, l'espressione Genetrix Dei è utilizzata con frequenza dai Padri latini, specialmente da sant'Ambrogio. Il suo inserimento nel Canone Romano è anteriore all'epoca del papa Leone Magno e molto probabilmente fu introdotta prima del concilio di Efeso[27]. Va inoltre evidenziato che Maria è ricordata prima di tutti i santi.<br />
<br />
Il significato di questa menzione e di questo ricordo può essere triplice[28]: primo, la Chiesa facendo memoria di Maria entra in comunione con Lei; secondo, tale ricordo è logico, perché deriva dalla condizione di santità e gloria propria della Madre di Dio[29]; ultimo, a causa dell'intercessione che Ella esercita presso Dio[30]: «Per i loro meriti e le loro preghiere [di Maria e dei santi] donaci sempre [Signore] aiuto e protezione» (Canone Romano).<br />
<br />
In un contesto simile a quello del Canone Romano, sebbene con piccole variazioni, si incontra la nostra richiesta a Maria e ai santi perché raggiungiamo la vita eterna:<br />
<br />
«... donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio...» (PE II).<br />
<br />
«... perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio...» (PE III)[31].<br />
<br />
«... concedi a noi, tuoi figli, di ottenere con la Beata Maria Vergine e Madre di Dio [...] l'eredità eterna del tuo regno...»(PE IV).<br />
<br />
3. Nella Messa di san Pio V<br />
<br />
Da ultimo, ricordiamo che nel Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962, espressione straordinaria della Lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino, incontriamo menzionata Maria Santissima in altri due momenti della Celebrazione eucaristica, oltre a quelli rimasti anche nella forma ordinaria. Innanzitutto, nella supplica alla Santissima Trinità che il sacerdote prega dopo il Lavabo e che pone fine ai riti offertoriali. Vi si legge:<br />
<br />
«Suscipe sancta Trinitas, hanc oblationem quam tibi offerimus ob memoriam passionis [...]; et in honorem beatae Mariae semper Virginis...»<br />
<br />
Questa preghiera riassume le intenzioni e i frutti del sacrificio come epilogo dell'Offertorio. In effetti, dopo aver ricordato che l'offerta si compie in memoria della Passione, risurrezione e ascensione del Signore, si menzionano la Santissima Vergine e i santi Giovanni Battista, Pietro e Paolo. La menzione di Maria si colloca nel contesto di quella venerazione che la santa Chiesa con amore speciale le tributa a motivo del legame indissolubile che esiste tra Lei e l'opera salvifica del suo Figlio. Allo stesso tempo, in Lei ammira ed esalta il frutto più splendente della redenzione[32]. In questa preghiera si ricorda che «nell'Eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo proprio lo spirito di Maria»[33].<br />
<br />
La menzione di Maria si incontra poi nell'embolismo Líbera nos che segue il Pater noster, in cui ci si esprime in questi termini:<br />
<br />
«Libera nos, quaesumus Domine, ab omnibus malis, praeteritis, praesentibus et futuris: et intercedente beata et gloriosa semper Virgine Dei Genitrice Maria [...] da propitius pacem in diebus nostris...». <br />
<br />
Anche questa orazione manifesta la perfetta unità esistente tra Lex orandi e Lex credendi, poiché «la sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale»[34]. Di fatto, questa orazione mostra che «a causa del suo carattere di intercessione, che si manifestò per la prima volta a Cana di Galilea, la mediazione di Maria continua nella storia della Chiesa e del mondo»[35].<br />
<br />
4. Conclusione<br />
Terminando questa breve panoramica sull'Ordo Missae, fatta di significativi incontri con Maria Santissima, possiamo affermare con uno dei grandi santi del nostro tempo: «Per me la prima devozione mariana - mi piace pensare così - è la Santa Messa [...]. Questa è infatti un'azione della Trinità: per volontà del Padre, cooperando con lo Spirito Santo, il Figlio si offre in oblazione redentrice. In questo insondabile mistero, si avverte, come attraverso il velo, il volto purissimo di Maria: Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo. L'incontro con Gesù nel Sacrificio dell'altare comporta necessariamente l'incontro con Maria, sua Madre»[36].<br />
<br />
<br />
--------------------------------------------------------------------------------<br />
[1] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 53.<br />
[2] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 3.<br />
[3] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 21.<br />
[4] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 14.<br />
[5] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 5.<br />
[6] Cf. ibid., n. 4.<br />
[7] Cf. Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 13.<br />
[8] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 57.<br />
[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.<br />
[10] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 57.<br />
[11] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 80.<br />
[12] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.<br />
[13] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 55.<br />
[14] Institutio Generalis Missalis Romani, n. 55.<br />
[15] Paolo VI, Marialis cultus, n. 57.<br />
[16] V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica, Roma 2003, pp. 272-274.<br />
[17] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 60.<br />
[18] Ibid., n. 62.<br />
[19] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.<br />
[20] Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 18.<br />
[21] Paolo VI, Marialis cultus, n. 10.<br />
[22] Benedetto XVI, Udienza generale, 12.08.2009.<br />
[23] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 55.<br />
[24] Ibid., n. 19.<br />
[25] Cf. S. Meo, «La formula mariana Gloriosa semper Virgo Maria Genitrix Dei et Domini nostri Iesu Christi nel Canone romano e presso due Pontefici del V secolo», in Pontificia Academia Mariana Internationalis, De primordiis cultus mariani. Acta Congressus Mariologici-mariani in Lusitania anno 1967 celebrati, Romae 1970, II, pp. 439-458.<br />
[26] Cf. M. Righetti, Historia de la liturgia, Madrid 1956, I, p. 334.<br />
[27] M. Augé, L'anno liturgico: è Cristo stesso presente nella sua Chiesa, Città del Vaticano 2009, p. 247.<br />
[28] Cf. J. Castellano, «In comunione con la Beata Vergine Maria. Varietà di espressioni della preghiera liturgica mariana», Rivista liturgica 75 (1988), p. 59.<br />
[29] «La santità esemplare della Vergine muove i fedeli ad elevare gli occhi a Maria, che brilla come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti» (Paolo VI, Marialis cultus, n. 57).<br />
[30] «La pietà verso la Madre del Signore si converte per il fedele in occasione di crescita nella grazia divina, finalità utlima di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare la Piena di grazia (Lc 1,28) senza onorare in se stessi lo stato ri grazia, vale a dire, l'amicizia con Dio, la comunione con Lui, l'inabitazione dello Spirito» (Paolo VI, Marialis cultus, n. 57).<br />
[31] «La recente Preghiera eucaristica III esprime con intenso anelito il desiderio degli oranti di condividere con la Madre l'eredità dei figli» (Ibid., n. 10).<br />
[32] Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, n. 102.<br />
[33] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 58.<br />
[34] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 34.<br />
[35] Giovanni Paolo II, Redemptoris mater, n. 40.<br />
[36] J. Escrivá, La Virgen del Pilar. Libro de Aragón, Madrid 1976, p. 99.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-90793187948703881152010-05-04T21:12:00.000+02:002010-05-04T21:12:54.878+02:00Le Costituzioni Quo Primum di san Pio V e il Missale Romanum di Paolo VI<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJrxFuZgT7V8R5bDqiFeBX5OQy1SRr0zPHnlJgoUhGB9MY2xbi1g1N9KZKfirt_2wKJDeeq81RVXugyA3ml6IrXQMgujZ8qS_k1wioc5m0YYckOYwAJkWjkQ-mB7vy25d7WyJyiiAhnsGf/s1600/17136_1155141932632_1650235155_406259_2972057_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJrxFuZgT7V8R5bDqiFeBX5OQy1SRr0zPHnlJgoUhGB9MY2xbi1g1N9KZKfirt_2wKJDeeq81RVXugyA3ml6IrXQMgujZ8qS_k1wioc5m0YYckOYwAJkWjkQ-mB7vy25d7WyJyiiAhnsGf/s200/17136_1155141932632_1650235155_406259_2972057_n.jpg" tt="true" width="190" /></a>La rubrica «Spirito della Liturgia» si sta soffermando diffusamente lungo quest'anno sulla peculiare indole eucaristica del sacerdozio ministeriale. In questo contributo, desideriamo focalizzare l'attenzione su un elemento importante che permette al presbitero di celebrare debitamente il memoriale del Sacrificio di Cristo: il Messale Romano, il libro liturgico che contiene i testi eucologici del rito della Santa Messa secondo la tradizione liturgica latino-romana. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"></div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">L'Ordinamento Generale del Messale Romano al n. 399 afferma: «... il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini, si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito Romano». Tale auspicio contiene in sé una consapevolezza maturata nella tradizione liturgica della Chiesa già nei secoli precedenti. Fu, infatti, san Pio V (1566-1572) che, con la Costituzione Apostolica Quo Primum (14 luglio 1570), promulgò il Messale Romano offrendolo a tutti i cristiani «come strumento di unità liturgica e insigne monumento del culto genuino e religioso nella Chiesa».</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Al fine di comprendere meno superficialmente la rilevanza di tale avvenimento, può risultare opportuno un breve riferimento che inquadri storicamente la Bolla di san Pio V. Prima del Concilio di Trento, esistevano nella Chiesa latina innumerevoli libri liturgici che, osservando consuetudini liturgiche locali (territoriali) e particolari (ordini religiosi, confraternite, ecc.), presentavano un'ampia molteplicità di forme rituali della Celebrazione eucaristica. Essi, pur conservando la medesima struttura celebrativa, differivano per una non identica disposizione consequenziale delle parti della Messa, per l'uso di formulari e preghiere tipiche, per invocazioni a santi specifici, per l'aggiunta inopportuna di elementi aventi non raramente un carattere superstizioso o addirittura eterodosso. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Alla già non perfetta uniformità rituale del culto liturgico nella Chiesa latina e alla precarietà di uno stile celebrativo non ancora ben definito, si aggiungevano pure le sempre più diffuse contaminazioni liturgiche provenienti dalla teologia protestante.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">In un contesto storico simile, per purificare il rito della Celebrazione eucaristica da elementi impropri, e nel tentativo di promuovere una maggiore unità tra i fedeli mediante l'unificazione rituale, i padri del Concilio di Trento, nella XXV sessione, stabilirono che fosse redatto un nuovo messale. A tal fine fu costituita una commissione di esperti i quali consultarono diligentemente i codici presenti nella Biblioteca Vaticana e le edizioni correnti del messale, raccolsero e studiarono antichi libri provenienti da varie chiese locali e considerarono gli scritti dei Padri della Chiesa. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Una volta completato il lavoro, l'opera fu sottoposta a san Pio V, il quale stabilì immediatamente che il nuovo Messale entrasse in vigore e sostituisse obbligatoriamente tutti quei libri liturgici che erano stati precedentemente utilizzati nelle comunità di rito latino. La netta determinazione con la quale il Pontefice espresse la sua volontà possiamo facilmente dedurla dalle solenni espressioni che Egli stesso utilizzò nella Quo Primum:</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">«[...] I sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. [...] Ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe cristiano [...] dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa [...] non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato».</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Nella stessa Costituzione Pio V ordinò anche che gli ecclesiastici «in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale». </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Va tuttavia notato che il Missale Romanum fu introdotto obbligatoriamente dovunque ad eccezione delle diocesi e degli ordini religiosi che avevano un rito proprio da almeno duecento anni. Era questo il caso del rito mozarabico di Toledo, del rito di Braga, di quello di Lione e del rito ambrosiano di Milano; ma anche delle tradizioni liturgiche di ordini religiosi quali i certosini, i cistercensi, i domenicani e i carmelitani. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Se la prima editio typica del Messale Romano post-tridentino nacque per attuare i decreti di quel concilio ecumenico, quattro secoli più tardi, in ossequio alla richiesta di riforma liturgica fatta dal concilio Vaticano II, venne alla luce il Novus Ordo Missae.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">I padri conciliari, nel solco del movimento liturgico, fissarono, infatti, alcuni principi generali che avrebbero dovuto portare ad una revisione dei libri liturgici. L'obiettivo primario che si prefissero era quello di una liturgia che fosse maggiormente comprensibile, mediante l'uso di un linguaggio rituale (simboli, gesti, parole) che potesse favorire l'actuosa participatio dei fedeli. Una prima riforma del Messale Romano vide la luce nel 1964-1965, quando fu pubblicata una versione bilingue del rito riformato della Messa. Non ci soffermiamo ora ad analizzare le possibili ragioni per cui tale Messale sia stato ritenuto non pienamente attuativo della volontà espressa dai padri del Vaticano II e sia perciò stato ritenuto necessario approntare un'ulteriore riforma del Messale.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">E così, il 3 aprile 1969, nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI presentò la nuova composizione dell'editio typica del Messale Romano, evidenziandone ciò che era stato rivisto e modificato rispetto all'ultima edizione (1962) del Vetus Ordo (o Usus antiquior) di san Pio V. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Un semplice confronto tra le due Costituzioni permette di notare come ambedue siano scaturite dalla volontà rinnovatrice dei Concili che avevano preceduto la loro redazione. Ambedue, quindi, sono il frutto di due contesti storico-ecclesiali in fermento: la Controriforma, da una parte, e il movimento liturgico dall'altra.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Comune ai due atti pontifici è stato anche il riferimento espresso alla volontà che i riti liturgici attingessero alla medesima fonte dell'antica tradizione dei santi Padri. Tale elemento acquista un significato profondo se si pensa come la medesima traditio abbia inciso profondamente sulla composizione delle due edizioni del Messale Romano. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">È ora comprensibile come i due Ordines Missae rappresentino la norma circa l'uso delle due forme celebrative di un unico rito liturgico (lex orandi), quello romano, patrimonio dell'unica ed immutata fede (lex credendi) della Chiesa. Ciò è quanto insegnava anche Benedetto XVI nel Motu proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007), nel quale offriva un'ampia regolamentazione giuridica sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e mai abrogata.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Vogliamo concludere questo contributo con qualche osservazione di stampo canonistico in merito proprio alla quaestio disputata circa l'abrogazione. La Summorum Pontificum, essendo una Lettera Apostolica sotto forma di Motu proprio, ha il valore giuridico di legge universale. Essa abroga le leggi contrarie e quelle anteriori ad esse che riguardano il medesimo argomento. Nel nostro caso, le norme abrogate sono quelle prescritte da Giovanni Paolo II (1978-2005) nella Lettera Quattuor abhinc annos e nel Motu proprio Ecclesia Dei Adflicta.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">Bisogna poi distinguere tra le rubriche che regolano lo svolgimento pratico della liturgia e le leggi liturgiche che governano la disciplina liturgica in generale. Le rubriche indicano al ministro celebrante cosa deve fare durante la celebrazione del rito; esse rimangono in vigore per coloro che celebrano la Messa secondo la forma straordinaria. Tuttavia, le leggi liturgiche del Codice del 1917, così come alcune norme inserite nel Messale del 1962, sono state abrogate dalla recente legislazione ecclesiale. Pertanto queste leggi disciplinari possono non essere più osservate quando la legge in vigore permette qualcosa di diverso. Un semplicissimo esempio ci aiuterà a capire meglio la questione: nella legge vigente nel 1962, la Messa non poteva essere celebrata nel pomeriggio o alla sera senza permesso dell’Ordinario del luogo. Questa restrizione non è più valida, anche quando si celebra secondo la forma straordinaria. Possiamo quindi concludere che le leggi liturgiche, universali e vigenti, devono essere osservate anche nella celebrazione del rito in forma straordinaria, mentre rimangono chiaramente valide le rubriche previste dal rito stesso. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2629289498750339105.post-54268115672615837792010-04-19T00:11:00.000+02:002010-04-19T00:11:11.373+02:00LA LITURGIA COME FONTE DI SPIRITUALITA’ SACERDOTALE<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: right;">Giornate di formazione liturgica per Clero e Laici</div><div style="text-align: right;"></div><div style="text-align: right;"><br />
</div><div style="text-align: right;">Rizziconi, Diocesi di Oppido - Palmi, 21 gennaio 2010</div><div style="text-align: right;"><br />
</div><br />
<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvzZjiCQji43nUqDkBtBHnAWzyHGV17R0-ExwtLdg2E7_uqTG62udASwfT0s0PzUvl_lRpxHQL0Dy5_U_XdiBHiozLWbT5lz7q5SBya4OvDzbJj8CclfN6-wod7gdJcq6Iu2sHBds_kFjz/s1600/610xe.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="127" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvzZjiCQji43nUqDkBtBHnAWzyHGV17R0-ExwtLdg2E7_uqTG62udASwfT0s0PzUvl_lRpxHQL0Dy5_U_XdiBHiozLWbT5lz7q5SBya4OvDzbJj8CclfN6-wod7gdJcq6Iu2sHBds_kFjz/s200/610xe.jpg" width="200" wt="true" /></a>All’inizio di questo nostro incontro è bene fare chiarezza sul significato del tema che mi è stato affidato, con particolare riferimento al titolo scelto: “La liturgia come fonte di spiritualità sacerdotale”. I punti da chiarire mi pare che debbano essere due.</div><br />
- Anzitutto ci si potrebbe chiedere: Che cosa si intende con “spiritualità sacerdotale”? Il discorso che si va affrontando riguarda solo i ministri ordinati? Oppure si deve pensare che non vi sia differenza tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio battesimale, in merito alla spiritualità liturgica?<br />
<br />
Al fine di evitare qualunque fraintendimento, a queste domande è necessario rispondere subito. La risposta, oltre a sgombrare il campo da possibili equivoci, vuole mettere anche in luce i limiti entro i quali si muove la presente riflessione.<br />
<br />
Non vi è dubbio: sacerdozio ministeriale e sacerdozio battesimale “differiscono essenzialmente e non solo di grado”, come ricorda il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium: “Il sacerdote ministeriale – infatti -, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all’offerta dell’Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa” (n. 11).<br />
<br />
Non tutti, dunque, nella Chiesa hanno la stessa funzione. E vi sono alcuni, i ministri ordinati, che sono chiamati da Dio a operare nella persona di Cristo-Capo e a essere come “l’icona di Cristo Sacerdote (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1142).<br />
<br />
La distinzione è chiara e fondamentale. Tuttavia, lo scopo che ci prefiggiamo oggi è piuttosto quello di considerare ciò che accomuna l’intero popolo di Dio nella celebrazione dei divini misteri e che sta a fondamento di quella condivisa spiritualità, che nel titolo è detta “sacerdotale”. In effetti, la liturgia è “azione di Cristo tutto intero” (cfr. CCC n. 1136) ed “è tutta la comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo, che celebra” (CCC n. 1140). “Col lavacro del Battesimo, difatti, - affermava già Pio XII – i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del «carattere» che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo” (Mediator Dei, n. 72).<br />
<br />
Tutti insieme, in tal modo, ci ritroviamo ai piedi della croce per partecipare al sacrificio del Signore: per aderire con la nostra volontà alla volontà di Dio, in tutto e per tutto; per unire la nostra povera vita, sempre bisognosa di misericordia e di grazia, a quella di Gesù, così che, con Lui e per Lui, diventi un'offerta gradita a Dio, una cosa santa e sacra, piena di bellezza e di luce nonostante le ombre.<br />
<br />
E’ giusto, allora, che da parte di tutti salgano al Signore quelle splendide parole che il sacerdote celebrante pronuncia, a nome dell’intera assemblea liturgica, ogni qualvolta si addentra nella grande preghiera eucaristica: “Ti rendiamo grazie per averci ammessi a compiere il servizio sacerdotale” (Preghiera eucaristica II). <br />
<br />
- Un secondo punto da chiarire riguarda l’accostamento del termine “liturgia” all’altro termine “spiritualità”, considerando la prima come fonte della seconda.<br />
<br />
Al riguardo è importante precisare quanto segue. Non esiste una vera spiritualità cristiana che non sia spiritualità liturgica, ovvero che non trovi nella liturgia la sua principale sorgente. Ma, nel momento in cui si intende approfondire il contenuto di detta spiritualità, non si può fare a meno di approfondire anche i grandi contenuti della liturgia. In altre parole: non è possibile definire i tratti della spiritualità che scaturisce dalla liturgia senza prima definire i tratti qualificanti della liturgia stessa. Che cosa è la liturgia? Quali sono gli elementi teologici e dottrinali che la caratterizzano?<br />
<br />
Parlare di spiritualità senza rispondere a questi interrogativi significherebbe sganciarla dalla sua radice. E porterebbe a considerare semplicemente la dimensione emotiva, sentimentale e soggettiva della vita della fede. Dimensione da non sottovalutare, certamente, ma non primaria e non fondante la spiritualità cristiana che, prima di tutto, è disponibilità a lasciarsi plasmare dal mistero celebrato, adesione al dono della salvezza ricevuto nella Chiesa e attraverso la Chiesa.<br />
<br />
Ecco il motivo per cui cercherò di considerare alcuni elementi di “spiritualità sacerdotale” a partire da alcuni elementi di teologia liturgica, ovviamente senza la pretesa di esaurire un tema tanto vasto e ricco. <br />
<br />
Questo faremo non senza riferirci a Benedetto XVI, al suo insegnamento e al suo magistero, ricordando che in virtù del Sommo Pontificato egli è anche il “grande Liturgo”, alla cui “ars celebrandi”, proposta con delicata fermezza, è necessario guardare come esempio da seguire e imitare. Dico questo perché può capitare di ascoltare o leggere il pensiero di alcuni opinionisti che qualificano come “gusto personale” l’indirizzo liturgico del Papa. Lasciamo agli opinionisti il loro discutibile parere, e comportiamoci da discepoli autentici del Signore che amano la Chiesa e il Papa, desiderosi di essere fedeli al suo magistero, anche per quanto attiene alla liturgia.<br />
<br />
Da ultimo, ancora quasi a modo di premessa, ricordo che nel corso della riflessione si darà un’attenzione privilegiata alla Santa Messa, che è senza dubbio la forma più alta della liturgia. Basti, al riguardo, ricordare quanto si dice nel decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale, Presbyterorum ordinis, al n. 5: “Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua… Per questo l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione”. <br />
<br />
1. La liturgia come presenza del mistero di Cristo<br />
<br />
Nella costituzione conciliare dedicata alla sacra liturgia si dice: “Per realizzare un’opera così grande – poco prima si parlava dell’opera divina della salvezza -, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche”. E appena poco più avanti si afferma: “Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo” (Sacrosanctum concilium, n. 7).<br />
<br />
In altre parole: la liturgia ha un grande e primo protagonista. Questi è il Signore risorto da morte, che riempie di sé e della sua opera di salvezza la Chiesa radunata nel suo nome. Vengono alla mente le absidi antiche, splendidamente decorate con immagini del Cristo Pantocratore o con altre immagini raffiguranti il mistero della salvezza. L’intenzione degli artisti, animati dalla fede, era chiara: rendere palpabile, anche attraverso il mezzo della rappresentazione artistica, la presenza avvolgente di Cristo nell’azione liturgica.<br />
<br />
C’è una parola, molto breve ma ricchissima, che si addice particolarmente alla verità della celebrazione liturgica. Vi sono alcuni tempi forti durante l’anno in cui questa ritorna più sovente, ma sempre è ben presente nella consapevolezza di fede della Chiesa. La parola è “oggi”. Sì, proprio oggi Cristo è presente e vivo in virtù del rito liturgico; proprio adesso il Signore rinnova l’opera della salvezza mediante il sacrificio della Croce e l’evento della risurrezione; proprio qui si fa contemporaneo a noi colui che è il Salvatore del genere umano.<br />
<br />
Non avrebbe senso parlare di esercizio del sacerdozio senza riferirlo alla presenza del mistero di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, che riempie di sé e della sua presenza ogni atto liturgico. E non è senza conseguenze, per l’esercizio del nostro sacerdozio, tale verità fondamentale della vita liturgica della Chiesa. Proviamo a considerarne almeno alcune.<br />
<br />
- La sacralità della liturgia<br />
<br />
Affermare che la liturgia è sacra significa ricordare che essa ci precede, in quanto luogo della presenza viva del mistero di Cristo salvatore, affidato alla Chiesa perché ne sia la custode attenta e fedele. Il sacro, in questo senso, non è un’aggiunta dell’uomo all’azione di Dio. Il sacro è la stessa azione di Dio presente nel rito liturgico. Il sacro è lo stesso Cristo che si dona a noi nel contesto della celebrazione e che la Chiesa è chiamata a trasmettere con fedeltà nel tempo, attraverso lo scorrere delle generazioni. <br />
<br />
E’ per questo motivo che, come affermava il Card. Ratzinger già nel 2001: “C’è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse oggetto della nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da se stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente il frutto dell’inventiva di un pugno di persone abili e capaci. Ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono; ciò in cui mi imbatto è solo l’abilità di un pugno di persone. E allora ci si accorge che non è quello che si sta cercando. E’ troppo poco e insieme qualcosa di diverso. La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste. Rinunciare a cercare in essa la propria autorealizzazione per vedervi invece un dono. Questa, credo è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà dell’uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro” (da “Dio e il mondo”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2001).<br />
<br />
Affermare la sacralità della liturgia significa ricordare la necessità di custodire il mistero che in essa è celebrato. Sacralità liturgica è l’oggettività di quel mistero che, nella sua ripetitività, non smette di interessare l’uomo: in quanto gli dona ciò di cui realmente ha bisogno e lo salva. <br />
<br />
Di conseguenza, esercitare il sacerdozio comune significa lasciarsi umilmente plasmare dal sacro liturgico, abbandonando la pretesa di plasmare la liturgia secondo la propria volubile soggettività. Il sacerdozio che siamo chiamati a vivere è creativo, senza dubbio. Ma non secondo quella creatività che manipola il dono ricevuto, quanto secondo quella creatività interiore che è capace di accogliere il dono in modo sempre nuovo e fecondo, in vista della trasformazione della vita.<br />
<br />
- La bellezza della liturgia<br />
<br />
Afferma Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post sinodale sull’Eucaristia Sacramentum caritatis: “La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor… Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina, ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore… La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra… La bellezza pertanto non è un fatto decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la propria natura” (n. 35).<br />
<br />
Le parole del Papa non potrebbero essere più chiare. Ne consegue che non è ammissibile alcuna forma di grettezza e di male inteso pauperismo nella celebrazione liturgica. L’uso del bello, nelle diverse forme antiche e moderne in cui trova espressione, è la modalità propria in virtù della quale risplende nelle nostre liturgie, pur sempre pallidamente, il mistero della bellezza dell’amore di Dio. Ecco perché non si farà mai abbastanza per rendere belli i nostri riti. <br />
<br />
Ha a che fare tutto questo con la “spiritualità sacerdotale”? Senza dubbio, perché non vi può essere autentica spiritualità sacerdotale fondata sulla liturgia che non partecipi della bellezza del sacerdozio di Cristo, diventandone progressivamente un riflesso sempre più fedele e attraente per il mondo. Il mondo è assetato di bellezza e di tale bellezza la Chiesa è tramite nella misura in cui vive della bellezza del suo Signore. Una bellezza appresa, amata, esercitata anche attraverso la partecipazione liturgica al mistero della salvezza.<br />
<br />
- Il tempo nella liturgia<br />
<br />
E’ sempre Benedetto XVI a orientare la nostra riflessione: “Se è vero che i sacramenti sono una realtà che appartiene alla Chiesa pellegrinante nel tempo verso la piena manifestazione della vittoria di Cristo risorto – afferma il Papa in Sacramentum caritatis -, è tuttavia altrettanto vero che, specialmente nella liturgia eucaristica, ci è dato di pregustare il compimento escatologico verso cui ogni uomo e tutta la creazione sono in cammino… L’uomo è creato per la felicità vera ed eterna, che solo l’amore di Dio può dare. Ma la nostra libertà ferita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro. Del resto, ogni uomo per poter camminare nella direzione giusta ha bisogno di essere orientato verso il traguardo finale. Questa meta ultima, in realtà, è lo stesso Cristo Signore vincitore del peccato e della morte, che si rende presente a noi in modo speciale nella Celebrazione eucaristica” (n. 30).<br />
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In tal modo, nell’esperienza liturgica l’uomo ritrova il significato del tempo e del suo scorrere. Il senso sta nella direzione verso la quale la storia è in cammino: Cristo Gesù. In lui l’umanità è strappata al dramma della mancanza di senso e all’oscurità di un percorso che si perde nella notte del nulla. Così si entra nella celebrazione liturgica con la pesantezza dell’esperienza dolorosa del tempo che fugge inesorabile e ci si ritrova anche da questo punto di vista salvati, perché resi capaci di capire la direzione della vita: il Signore che sarà tutto in tutti. <br />
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Lo stesso ritmo ciclico del tempo liturgico è grazia e scuola di vita. Ogni anno, il rinnovarsi dei misteri del Signore e della nostra salvezza, porta con sé il dono di un ingresso progressivo, per intensità, nella verità della fede, nella buona notizia dell’amore di Dio. Si capisce, allora, il motivo per cui, anche da questo punto di vista, la liturgia è fonte di “spiritualità sacerdotale”. Grazie all’atto liturgico, che annualmente riviviamo, approfondiamo la capacità di vivere il tempo da autentici discepoli del Signore: ricordando che l’esistenza è pellegrinaggio verso la patria, che tutto è animato dalla Provvidenza di Dio, che non c’è fatto della vita terrena che non possa essere posto in relazione con l’eternità. Partecipando del sacerdozio di Cristo diveniamo, per così dire, “sacerdoti del tempo”, vale a dire capaci di rendere al Signore, con offerta a lui gradita, il tempo della nostra vita.<br />
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- L’adorazione nella liturgia<br />
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Citiamo, al riguardo, ancora un passaggio dell’Esortazione Sacramentum caritatis: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. Nell’adeguarsi alla legittima diversità dei segni che si compiono nel contesto delle diverse culture, ciascuno viva ed esprima la consapevolezza di trovarsi in ogni celebrazione davanti alla maestà infinita di Dio, che ci raggiunge in modo umile nei segni sacramentali” (n. 65).<br />
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Ecco perché tutto, nell’azione liturgica, deve condurre all’adorazione: la musica, il canto, il silenzio, il modo di proclamare la Parola di Dio e il modo di pregare, la gestualità, le vesti liturgiche e le suppellettili sacre, così come anche l’edificio sacro nel suo complesso. La nobiltà, la bellezza, l’armonia, la capacità di trarre fuori dall’ordinario per farci entrare nello spazio sacro di Dio: questi, e solo questi sono i criteri ecclesiali in base ai quali discernere ciò che può essere accolto o non accolto nelle nostre liturgie.<br />
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Mi sia consentita una breve digressione in merito a un particolare delle liturgie papali. Mi riferisco alla decisione di Benedetto XVI, presa a cominciare dal “Corpus Domini” del 2008, di distribuire la Santa Comunione ai fedeli, direttamente sulla lingua e in ginocchio. Con l’esempio di questo gesto, il Papa ci invita a rendere manifesto l’atteggiamento dell’adorazione davanti alla grandezza del mistero della presenza eucaristica del Signore. Atteggiamento di adorazione che dovrà ancor più essere custodito accostandosi alla SS. Eucaristia nelle altre forme oggi concesse. Ci è spiritualmente di aiuto, al riguardo, riascoltare un passaggio di Sacramentum caritatis: “Già Agostino aveva detto: «Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo». Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (n. 66).<br />
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Torniamo alla “spiritualità sacerdotale”, derivante dalla liturgia. Se l’adorazione è il riconoscimento pieno di stupore della grandezza infinita di Dio, della sua maestà inafferrabile, del suo amore senza misura, della sua signoria onnipotente e provvidente... Se, di conseguenza, l’adorazione conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo... Se l’adorazione è tutto questo, non sarà proprio nell’adorazione liturgica che ciascuno di noi eserciterà la “spiritualità sacerdotale”? <br />
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2. La liturgia come azione partecipata<br />
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Il Concilio Vaticano II, nella già citata Sacrosanctum concilium, si sofferma a considerare la necessità della partecipazione attiva dei fedeli alla Messa. “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti” (n. 48). <br />
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Parlando di partecipazione attiva alla celebrazione liturgica ci ritroviamo al centro del discorso intorno alla “spiritualità sacerdotale”, a tutti noi comune. Partecipazione attiva, infatti, richiama immediatamente l’esercizio consapevole del sacerdozio regale. E qui si pone subito la domanda di fondo: che cosa significa esercizio consapevole del nostro sacerdozio ?<br />
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Alla domanda si addice senza dubbio una risposta articolata, come articolata è la descrizione della partecipazione attiva nel documento conciliare. Eppure, proprio in quel documento, nel passo citato, ci è offerta la chiave di lettura per arrivare a una sintesi della questione. Potremmo dire così: si partecipa attivamente alla liturgia nella misura in cui l’azione liturgica è da noi partecipata.<br />
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Mi pare che, al riguardo, una riflessione del Card. Ratzinger, nel volume Introduzione allo spirito della liturgia, sia quanto mai illuminante: “In che cosa consiste… questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più presto possibile. La parola partecipazione rinvia, però, a un’azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa ‘actio’ centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità…Con il termine actio riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio… Questa oratio - la solenne preghiera eucaristica, il «canone» - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del termine. In essa accade, infatti, che l’actio umana… passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio” (pp. 167-168).<br />
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Così, la vera azione che si realizza nella liturgia è l’azione di Dio stesso, la sua opera salvifica in Cristo. Questa è, tra l’altro, la vera novità della liturgia cristiana rispetto a ogni altra azione cultuale: Dio stesso agisce e compie ciò che è essenziale, mentre l’uomo è chiamato ad aprirsi all’azione di Dio, al fine di rimanerne trasformato. Il punto essenziale della partecipazione attiva, di conseguenza, è che venga superata la differenza tra l’agire di Dio e il nostro agire, che possiamo diventare una cosa sola con Cristo, così che la sua offerta d’amore al Padre diventi anche la nostra offerta. Solo quando questo accade si sta esercitando attivamente il proprio sacerdozio.<br />
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Rispetto a questo tutto il resto è secondario. E mi riferisco, in particolare, alle azioni esteriori, pur importanti e necessarie, previste soprattutto durante la celebrazione liturgica. Faccio riferimento ad esse perché, se diventano l’essenziale della liturgia e questa viene ridotta a un generico agire, allora si è fraintesa l’autentica partecipazione attiva. Di conseguenza, la vera educazione alla spiritualità liturgica non può consistere semplicemente nell’apprendimento e nell’esercizio di attività esteriori, ma anche e soprattutto nell’introduzione all’azione essenziale, all’opera di Dio, al mistero pasquale di Cristo dal quale lasciarsi raggiungere, coinvolgere e trasformare. <br />
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San Tommaso, con la consueta chiarezza, afferma: “Il culto esterno è ordinato a quello interno. Ora il culto interno consiste nell’unione intellettiva e affettiva dell’anima con Dio. Perciò gli atti esterni del culto hanno applicazioni diverse secondo i diversi gradi di unione intellettiva e affettiva dei fedeli con Dio” (Summa Teologiae, I-II, q. 101, a. 2).<br />
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Ascoltiamo Benedetto XVI in un passo dell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis: “Gesù ci ha lasciato così il compito di entrare nella sua «ora»: «L’Eucaristia ci attira nell’atto ablativo di Gesù… veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione». Egli «ci attira dentro di sé»” (n. 11).<br />
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E aggiungo: non si confonda il compimento di gesti esterni con il giusto coinvolgimento della corporeità nell’atto liturgico. Senza nulla togliere al significato e all’importanza del gesto esterno che accompagna l’atto interiore, la liturgia chiede molto di più al corpo umano. Chiede, infatti, il suo totale e rinnovato impegno nella quotidianità della vita, così che essa diventi in qualche modo liturgica, servizio per il cambiamento del mondo. E’ proprio l’esercizio puntuale e fedele di questa “coerenza eucaristica” l’espressione più autentica della partecipazione anche corporea all’atto liturgico, all’azione salvifica di Cristo.<br />
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E’ giusto affermare, in conclusione, che si ha la verifica della partecipazione attiva alla liturgia nel momento in cui cresce la personale adesione a Cristo, si rimane coinvolti nella dinamica dell’amore che si dona, la volontà personale si trasforma progressivamente nella volontà del Signore. Questo significa esercitare il proprio sacerdozio; questo significa “spiritualità sacerdotale”. Non per nulla coloro che hanno celebrato e vissuto l’atto liturgico partecipandovi davvero attivamente sono i santi. La santità, come esito della vita, è la testimonianza più bella di una partecipazione realmente viva alla liturgia della Chiesa, di un esercizio consapevole e pieno del proprio sacerdozio.<br />
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3. La liturgia tra dimensione discendente e ascendente<br />
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Se consideriamo con attenzione lo svolgersi della celebrazione eucaristica, ci rendiamo immediatamente conto di trovarci di fronte a due grandi momenti: la liturgia della parola e la liturgia eucaristica. Si tratta di due fasi del rito “così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto” (Ordinamento Generale del Messale Romano, 28). Infatti vi è un legame intrinseco tra la Parola di Dio e l’Eucaristia: tanto che la Parola letta e annunziata nella liturgia conduce all’Eucaristia come suo fine ultimo.<br />
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All’interno di tale unità fondamentale non passa però inosservata la distinzione dei due momenti. Da una parte, Dio si rivela, parla a noi per il tramite della Sacra Scrittura e dell’insegnamento autorevole del ministero ordinato. Dall’altra parte, presentando il frutto della terra e del lavoro, noi ci offriamo al Signore, per divenire una sola cosa con lui, in virtù della partecipazione al suo sacrificio redentore.<br />
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Due momenti, dunque, a costituire un unico rito, eppure caratterizzati entrambi da una specifica e prevalente dinamica: discendente il primo, ascendente il secondo. <br />
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Perché è importante ricordare questo dato di teologia liturgica? Perché un’autentica “spiritualità sacerdotale” non può prescindere da tale dato. La nostra vita di fede, in effetti, si svolge interamente tra una discesa e un’ascesa, il dono di Dio e la nostra risposta. Non siamo stati e non siamo noi a compiere il primo passo nella direzione del Signore. E’ sempre il Signore a compiere il primo passo verso di noi, rendendo possibile la nostra risposta.<br />
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Una tale dinamica della vita cristiana è bene impressa nel Santo Natale, che abbiamo da poco celebrato. Nel mistero dell’Incarnazione risplende il primato dell’amore di Dio per l’uomo. Nella carne del Figlio di Dio l’umanità è redenta e assunta fino al cielo, ma ciò si rende possibile perché prima il cielo è sceso in direzione dell’umanità.<br />
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La celebrazione liturgica, con la liturgia della parola, ci ricorda che un primo atteggiamento fondamentale dell’uomo di fede è quello dell’ascolto obbediente e della disponibilità ad accogliere con gratitudine e stupore il dono dell’amore di Dio, che è grazia (cfr. OGMR n. 55). La celebrazione liturgica, con la liturgia eucaristica, ci ricorda che l’altro atteggiamento fondamentale dell’uomo di fede è quello di rivolgersi al Signore, orientando a lui lo sguardo e la vita (cfr. OGMR n. 78).<br />
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Ecco così delineato un altro tratto di “spiritualità sacerdotale” derivante dalla liturgia. Tuttavia, perché la liturgia sia effettivamente luogo privilegiato per l’esperienza e l’apprendimento di questo, come di ogni altro elemento di spiritualità è necessario che essa parli alla nostra vita con segni veri ed eloquenti. Così si esprimeva alcuni anni fa la Congregazione per il culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: “Nella forma di celebrazione occorre stare attenti a non convertire teologia e topografia, soprattutto quando il sacerdote è all’altare. Solo nei dialoghi dall’altare il sacerdote parla al popolo. Tutto il resto è preghiera al Padre mediante Cristo, nello Spirito Santo. Questa teologia deve poter essere visibile” (Editoriale Notitiae, “Pregare «ad orientem versus»”, in Notitiae vol. 29 /1993/ n. 5)<br />
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Mi sia consentita, allora, una digressione molto concreta. E’ corretto che durante la liturgia della parola celebrante e fedeli si ritrovino in posizione frontale, l’uno davanti agli altri. Tutti si è in ascolto del Signore che viene a rivelarsi nella sua parola e nella forma del dialogo orante. Ma non si può dire del tutto corretto che celebrante e fedeli conservino la stessa posizione anche durante la liturgia eucaristica, quando invece, insieme, dovrebbero rivolgersi al Signore e a lui orientarsi con lo sguardo e con il cuore. Ascoltiamo in proposito quanto scriveva nel 2001, nel citato volume Introduzione allo spirito della Liturgia, J. Ratzinger: “Era anche importante tornare a distinguere con chiarezza il luogo della liturgia della parola rispetto alla liturgia eucaristica vera e propria, dal momento che qui si tratta effettivamente di un discorso e di una risposta e, quindi, ha anche senso che stiano l’uno di fronte all’altro colui che annuncia e coloro che ascoltano, i quali rielaborano nel salmo ciò che hanno ascoltato, lo riprendono interiormente e lo trasformano in preghiera, così che diventi risposta. Resta, invece, essenziale il comune orientamento verso est durante la preghiera eucaristica. Qui non si tratta di qualcosa di casuale, ma dell’essenziale. Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l’adorazione comune, l’andare incontro a Colui che viene. Non il cerchio chiuso in se stesso esprime l’essenza dell’evento, ma la partenza comune, che si esprime nell’orientamento comune” (p. 77).<br />
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Non ritenendo opportuno suggerire una nuova modifica per la disposizione degli altari nelle nostre chiese, il Cardinale auspicava che il Crocifisso venisse collocato sopra e al centro dell’altare, in modo tale da rendere visibile il comune orientamento al Signore. E aggiungeva: “Tra i fenomeni veramente assurdi del nostro tempo io annovero il fatto che la croce venga collocata su un lato per lasciare libero lo sguardo sul sacerdote. Ma la croce, durante l’eucaristia, rappresenta un disturbo? Il sacerdote è più importante del Signore? Questo errore dovrebbe essere corretto il più presto possibile” (p. 80).<br />
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Ora ci è forse più facile capire il motivo per cui il Santo Padre a Roma, come anche in ogni parte del mondo, celebra con il grande crocifisso collocato al centro dell’altare, offrendo un esempio che siamo tutti chiamati a seguire. Ne va della verità del segno e della possibilità che la liturgia divenga davvero fonte di “spiritualità sacerdotale”. <br />
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Mi avvio a concludere. Non senza un ultimo richiamo alla celebrazione liturgica. La liturgia conosce sempre un congedo che, in verità, assomiglia a uno spalancarsi delle porte della chiesa sul mondo. La liturgia, in altre parole, comporta sempre un mandato. E’ il mandato di testimoniare il dono ricevuto, la salvezza in Cristo Signore risorto da morte, la notizia lieta dell’amore del Padre che dona finalmente senso alla vita umana. Tale mandato è insieme una grazia e un impegno: è una grazia, perché solo la forza che viene da Dio ci mette in grado di pronunciare parole di testimonianza di fronte al mondo; è un impegno, perché il dono che abbiamo ricevuto deve trasformarsi nel coraggio gioioso della profezia quotidiana, ovvero nell’annuncio sempre e ovunque del senso del mondo e del valore della vita.<br />
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Diceva il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua Lettera Enciclica sull’Eucaristia: “Annunziare la morte del Signore «finché egli venga» (1 Cor 11, 26) comporta, per quanti partecipano all’Eucaristia l’impegno di trasformare la vita, perché essa diventi, in certo modo, tutta «eucaristica» (Ecclesia de Eucharistia, n. 20).<br />
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Anche questa è “spiritualità sacerdotale”. Anche questo è ciò che apprendiamo e di cui diventiamo capaci in virtù della partecipazione alla celebrazione liturgica.<br />
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<div style="text-align: right;">Mons. Guido Marini</div><div style="text-align: right;"><br />
</div><div style="text-align: right;">Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie</div>Unknownnoreply@blogger.com0